Microsoft word - intervento convegno del 17 gennaio

Nel quarto d’ora che mi è assegnato ed occupandomi di penale,direi che èopportuno Cassazione,resa all’udienza del 18 dicembre 2008,che ha escluso “larilevanza penale,sotto il profilo delle fattispecie di lesioni personali e diviolenza privata,della condotta del medico che sottoponga il paziente,inmancanza di consenso valido,ad un trattamento chirurgico,eseguito nelrispetto dei protocolli delle “leges artis” e conclusosi con esito fausto”.
Dato il breve lasso di tempo trascorso dall’emissione del dispositivo,non risultaancora depositata la motivazione.
Il tema della disciplina penale del trattamento senza consenso o con unconsenso “invalido” è sempre stato controverso perche’ ,in assenza didisciplina specifica,la sua soluzione avrebbe potuto e tuttora potrebbericavarsi soltanto dai principi generali del diritto penale.
C’e’ tuttora un progetto di legge di riforma del codice penale che vorrebbeintrodurre una specifica fattispecie di reato destinata a punire il trattamentomedico arbitrario,cioe’ senza consenso.
L’indirizzo diciamo severo della giurisprudenza si era poggiato su due aspettidi tutela:quello dell’integrità fisica e quello della liberta’ personale e soprattutto diautodeterminazione.
Una pronuncia datata,la n. 5639 del 21/4/92 della quinta sezione - la notasentenza Massimo - aveva affermato che “il chirurgo che,in necessità ed urgenza terapeutiche,sottopone il paziente ad un interventooperatorio di piu’ grave entità rispetto a quello meno cruento e comunque dipiu’ lieve entità del quale lo abbia informato preventivamente e che solo statoda quegli consentito,commette il reato di lesioni volontarie,irrilevante essendosotto il profilo psichico la finalità pur sempre curativa della sua condottasicche’ egli risponde del reato di omicidio preterintenzionale se da quellelesioni derivi la morte”:il medico aveva sottoposto il paziente ad un intervento preventivo di asportazione trans-anale di un adenoma villoso benigno,inassenza di urgenza.
intervenuta una sentenza della prima sezione,Volterrani,che rigettava il ricorso del Procuratore generale di Torino avverso la sentenza diassoluzione della Corte d’Appello.
Qui il paziente aveva acconsentito solo “alla riduzione dell’ernia edall’esplorazione della cavità addominale”;il medico,operandolo di ernia,si eraaccorto all’interessato,ne’ ai familiari – aveva operato il paziente di “duodeno-cefalo-pancreas-ctomia”; per sopravvenute complicazioni il paziente decedeva.
Il medico veniva imputato di omicidio preterintenzionale,per aver effettuato unintervento “demolitorio e mutilante” senza consenso informato,prestatosoltanto per l’intervento all’ernia.
Il giudice dell’udienza preliminare lo condannava ad un otto e mesi direclusione dopo aver “riqualificato” il fatto come violenza privata - 610 cp – eomicidio colposo,nella forma dell’art.586 cp,morte quale conseguenza nonvoluta del reato di violenza privata.
Su appello della difesa e dell’accusa,la Corte d’Appello dava una prima voltaragione al p.m.,ripristinando l’accusa di omicidio preterintenzionale e aumentando la pena.
Per un vizio di forma la Cassazione annullava e rimetteva alla Corte d’Assised’Appello di Torino,che invece assolveva del tutto il medico.
La Corte d’Assise in sintesi affermava che non puo’ parlarsi di comportamento“violento” e nemmeno di compressione della libertà personale per un “medicoche compie il proprio dovere,fuori da un espresso divito oppostoglidall’interessato”,dunque ne’ lesioni preterintenzionale – né violenza privata.
Sosteneva che il medico era esente da colpa perche’ aveva deciso l’interventopiu’ radicale in presenza di un tumore maligno emerso soltanto nel corso delprimo intervento e che non avrebbe potuto essere ragionevolmente “previsto”prima,all’atto cioe’ dell’acquisizione del consenso alla laparotomia.
Nuovo ricorso del Procuratore generale,ma la Cassazione – 5° processo -confermava l’assoluzione rigettando il ricorso.
Con riferimento al tema che interessa – quello del consenso - la Cassazioneaffermava che “la volontà in ambito giuridico e penalistico…svolge un ruolodecisivo soltanto quando sia eventualmente espressa in forma negativa”.
Secondo il ragionamento della Corte,poiche’ la Convenzione di Oviedo del19971 ,pur ratificata con legge 145 del 2001, non ha mai trovato concreta 1 L’art.5 prevede che “un intervento nel campo della salute non puo’ essere effettuato se non dopo che la personainteressata abbia dato consenso libero e informato” attuazione normativa,mancherebbe una disciplina specifica del “consensoinforto”,sostanzialmente affidato al codice di deontologia medica.
Cio’ significa – dice la sentenza – che “il medico è legittimato a sottoporre ilpaziente,affidato necessario alla salvaguardia della salute dello stesso,anche in assenza diesplicito consenso.
Rileva – invece – il dissenso espresso del paziente al trattamento sanitario.
Dinanzi ad una scelta cosi’ radicale e delicata ,il compito del medico è quellodi condizionamenti,interni od esterni,di qualsivoglia natura che possano inficiareil naturale ed autonomo processo della volontà” .
Esaurito questo compito,di fronte ad una scelta genuina, decisa e risoluta ilmedico terapeutico possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato disalute dell’infermo e,persino,la sua morte”.
La Corte,in definitiva,dice che il medico non puo’ obbligare un pazientedissenziente a subire un trattamento sanitario(e con cio’ potrebbe incorrere,seobbliga il paziente a subirlo,nel reato di violenza privata);giammai – pero’ –potrà commettere il delitto di lesioni dolose e di omicidio doloso opreterintenzionale nemmeno in questi casi limite,in quanto il suo intento e’comunque quello di “curare” una malattia,non di provocare una “malattia”2.
E quest’ultimo – credo – sara’ anche il ragionamento della sentenza delleSezioni Uniteoè a dire che non e’ sufficiente – per parlare di “lesione”penalmente rilevante – che sia provocata una “alterazione anatomopatologica”,ma e’ necessario che quell’alterazione abbia connotazionenegativa,cioe’ determini una malattia,un peggioramento dello stato di salutedel paziente.
dissenso – il problema della libertà di autodeterminazione.
Nel caso specifico - al quale va rapportato il giudizio della Corte – è stata esclusa qualsiasi compressione anche della liberta’ individuale,in quanto lascelta del medico di sottoporre il paziente ad un intervento piu’ invasivo – diasportazione dei tessuti tumorali – è scaturita “in itinere”,cioe’ nel corso delprimo intervento ed evidentemente in presenza di un paziente incosciente,chenon era in grado di esprimere alcun valido e tranquillo consenso o dissenso;inquesti casi si parla anche di intervento “complesso”, in cui lo stato di necessitàassume rilievo decisivo.
2 Salvi ovviamente i casi puramente di scuola – che rimangono confinati nell’assurdo e nel macabro – dello“scienziato pazzo” che,per sadismo,si diverta a procurare mutilazioni o ferite ai pazienti… La sentenza delle Sezioni Unite sembra peraltro escludere in radice anchequesta ipotesi di reato,quella di violenza privata.
Rimanendo sul tema spinoso del consenso,si è detto che – con quest’ultimasentenza - che esso in definitiva non costituirebbe una regola cautelare chedoverosamente il medico avrebbe il compito di osservare per non incorrere incolpa.
Successive decisioni dicono il contrario.
La quarta sezione,16 gennaio 2008 n. 11335,Huscher piu’ molti altri,haaffrontato un ricorso della Procura contro una sentenza del giudicedell’udienza preliminare di Roma che aveva assolto tutti i medici imputati davarie imputazioni di lesioni aggravate,omicidio preterintenzionale e omicidiocolposo.
acquisito a causa dell’”utilizzo di moduli prestampati del tutto generici e noncontenenti alcuna informazione sulle patologie ed i rispettivi interventi”;anchein questi casi erano stati eseguiti interventi chirurgici in “allargamento del configurabilità dei reati di lesione dolosa e di omicidio preterintenzionale3 neicasi di intervento connotato da finalità curative – si sofferma sul tema delconsenso completa,da parte del medico,dei possibili effetti negativi della terapia odell’intervento,con le possibili controindicazioni e l’indicazione della gravitdegli effetti del trattamento”. (pag.20 e segg.) La Corte sostiene di condividere l’impostazione anche della giurisprudenzacivile,secondo cui il medico - salvi casi del tutto eccezionali,art.54 c.p.
,quando cioè il paziente non sia in grado di esprimersi - non puo’ prescinderedal consenso e “non puo’ intervenire senza consenso o malgrado il dissensodel paziente”.
Il consenso costituisce un “presupposto di liceità del trattamento medicochirurgico”.
Non è attribuibile al medico un “generale diritto di curare”.
3 La Corte esclude in radice l’attribuibilità di tale fattispecie sul rilievo che essa richiede “atti diretti a percuotere oledere” e,dunque,un dolo diretto se non intenzionale a cagionare una malattia Il consenso “informato” del paziente è integrato – in concreto – dalla facoltà“non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico,ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente diinterromperla,in tutte le fasi della vita,anche in quella terminale”.
Nel caso di specie non era riscontrabile un consenso informato nel sensorichiesto,in quanto interventi invasivi e demolitori avevano “oltrepassato” lasoglia di un consenso prestato per interventi di minore entità.
La Corte – è questa e’ la peculiarità del caso concreto – aggiunge che – inogni caso – sarebbe stata irrilevante la soluzione del quesito circa l’esistenzadi un “consenso informato”, giacche’ i medici avevano violato anche le “legesartis”,per cui non avrebbero potuto andare esenti da responsabilità sulsemplice assunto della rituale acquisizione del consenso dei pazienti operati.
Nel medesimo solco si è posta la sentenza della medesima sezione,8/5/08 n.
32423,Giachero.
Si trattava di un medico imputato di aver eseguito interventi di chirurgiaestetica sul volto della paziente,con cio’ cagionando per colpa lesionepersonale(con sfregio del viso).
Il primo giudice aveva assolto il medico,mentre la Corte d’Appello – sugravame delle Procura – lo aveva condannato per lesioni colpose,noncondividendo in particolare l’opinione del giudice di primo grado sulla effettivaprestazione del consenso informato,che la persona offesa aveva negato diaver dato sul presupposto di una mancata,corretta informazione circa ipossibili effetti dell’uso di una sostanza – il Dermalive – sulla cute dellapaziente,che aveva patito indebita formazione di granulomi.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del medico,affermando che nonera stata fornita esauriente informazione,nemmeno generale, sugli effetti che ilprodotto avrebbe potuto provocare sul derma della paziente.
Solo il mese dopo la quarta sezione sembra cambiare indirizzo ed affermareun principio diverso.
La sentenza è del 24/6/08 n. 37077,ric. Marazziti,e stabilisce ora che “l’obbligodi acquisizione del consenso informato del paziente alla somministrazione deltrattamento sanitario non costituisce una regola cautelare e,dunque,la suainosservanza da parte del medico non puo’ costituire,nel caso in cui lo stessotrattamento abbia causato delle lesioni,un elemento per affermare laresponsabilità a titolo di colpa di quest’ultimo”,salvo che la mancatasollecitazione del consenso non abbia impedito al medico di acquisireinformazioni sulle condizioni del paziente,carenza che - se in nesso causalecon l’evento – potrebbe dunque rappresentare il problema della colpa dall’ambito del consenso – ritenuto ora non piu’ decisivo – a quello del rispetto delle regole dell’artenell’esecuzione dell’intervento.
Qui il medico era stato imputato di lesioni volontarie gravi per aver prescritto -a cura dell’obesità – un farmaco(Topamax) – quale “terapia sperimentale” - inassenza di adeguata informazione ed espresso consenso.
La Corte dapprima riafferma il principio secondo cui il consenso costituisce presupposto di liceità dell’attività del sanitario;poi,nel proseguio,aggiunge chela mancata acquisizione di consenso informato non costituisce una regolacautelare e,pertanto,è irrilevante interrogarsi sull’esistenza di un nesso dicausa tra mancato consenso informato ed evento dannoso alla salute delpaziente.
Le regole cautelari doverose sono soltanto quelle delle “leges artis” ed ilgiudice deve accertare se la loro violazione abbia oltrepassato il confine del“rischio consentito” dall’ordinamento,calibrato sull’attività sanitaria e sui livellidi conoscenza e di specializzazione;dopo aver accertato la violazione dellaregola cautelare,il giudice deve accertare se l’evento dannoso fosseprevedibile ed evitabile con l’osservanza della suddetta precauzione.
L’unico caso in cui rileva il “consenso informato”,ai fini della valutazione dellacolpa penale e dell’esistenza del nesso di causa con l’evento,sarebbe quelloin cui la mancata,corretta informazione e la sua mancata acquisizione abbianodeterminato una riduzione del quadro conoscitivo delle condizioni del paziente.
informato,in ambito penale,rimane controversa.
Di recente,come noto,la giustizia penale e quella civile hanno dovutoaffrontare casi delicatissimi come quelli del caso Welby e del caso di EluanaEnglaro.
Qui il dibattito è ovviamente aperto.
Nel primo caso il g.u.p. di Roma ha prosciolto il dr.Riccio – lo specialista inanestesia che ha “staccato il ventilatore” su richiesta espressa di Welby -affermando in sintesi che il sanitario ha agito nell’adempimento di un suopreciso dovere,ovvero quello di rispettare il consenso/dissenso informato delpaziente,che aveva deciso di lasciarsi morire secondo un suo preciso diritto,garantito dalla Costituzione,artt.13 e 32.
Non risulta che la Procura abbia impugnato la decisione e ,cosi’, la Corte diCassazione non è stata sollecitata sull’argomento.
Nel secondo caso e’ stato accolto un reclamo del tutore della Englaro – ilpadre – al quale il tribunale di Lecco aveva negato l’autorizzazione a disporrel’interruzione del trattamento “di sostegno vitale artificiale” della figlia.
La Corte d’appello ha sostenuto – in soldoni - che una compiuta indagine dicio’ che sarebbe stata la volontà della figlia,evidentemente non in grado diesprimere consensi o dissensi,autorizzava a ritenere che ella stessa sisarebbe risolta ad interrompere il suo mantenimento in vita se fosse stata ingrado di esprimersi validamente.
Mi domando – e qui concludo,stimolando il dibattito sostenere che queste due situazioni non vìolino l’art.579 del codice penaleche punisce l’omicidio del consenziente;tanto piu’ che il terzo comma dellanorma penale punibilità della condotta a titolo di omicidio volontario vittima sia in istato di infermità psichica,dunque di incapacità di intendere e divolere(anche,evidentemente,naturale);mi domando come un consenso possaessere espresso da un tutore,che di certo vi è legittimato dal punto di vistacivile,ma altrettanto certamente non puo’ disattendere le norme del codicepenale.
Si rende evidentemente necessario ed urgente un intervento del legislatoreche - tra le altre cose – oltre a disciplinare il tema informato,rimodelli la disciplina dell’omicidio del consenziente,distinguendoespressamente i casi in cui il decesso sia conseguenza del rifiuto consapevoledel trattamento sanitario da parte del paziente.
IL SOSTITUTO PROCURATORE DELLA REPUBBLICA

Source: http://www.tribunale.varese.it/files/File/documenti/Masini_convegno_del_17_gennaio.pdf

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