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TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI MILANO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice Istruttore presso il Tribunale Civile e Penale di Milano ha pronunciato la Seguente SENTENZA nel procedimen-to. 1) CALABRESI Luigi, nato a Roma il 14-11-1937. Elett.dom.pr.st.avv. Michele Lener, Galleria del Corso, 1 - Milano.
2) LOGRANO Savino, nato a Spinazzola (BA) il 16-1-1940, res. a Torino in via Padova, 33. Elett.dom.pr.st.
(Elettivamente domiciliato presso studio n.d.r.) avv. Armando Cillario, Corso Porta Vittoria, 31 - Milano. 3) PANESSA Vito Donato Antonio, nato a Gioia dei Colle (BA) il 20-4-1927, dom. a Milano in via Fatebenefratelli, 11.
Elett.dom.pr.st.avv. Vincenzo Garofalo, Corso Matteotti, 1 - Milano. 4) CARACUTA Giuseppe Antonio, nato a Martano (LE) l’1-5-I935, res. a Bari in via Cagnazzi, 53. Elett.dom.pr. st.avv.
Vincenzo Garofalo, Corso Matteotti, i - Milano. 5) MAINARDI Carlo Mario, nato a Rosasco (PV) il 26-12-1922, dom. a Milano in via Fatebenefratelli, 11. Elett.dom.pr. st.avv.
Vincenzo Garofalo, Corso Matteotti, 1 - Milano.
6) MUCILLI Pietro, nato a Castiglione Messer Marino (CH) il 6-10-1927, res. a Milano in via delle Genziane, 5.
Elett.dom.pr.st.avv. Vincenzo Garofalo, Corso Matteotti, 1 - Milano.
7) ALLEGRA Antonino, nato a S. Teresa di Riva (ME) il 21-11-1924, res. a Milano in via delle Ande, 14. Elett. dom. pr. st.
avv.prof. Alberto Crespi, via Verga, 14 - Milano.
8) SMURAGLIA Carlo, nato ad Ancona il 12-8-1923, res. a Milano in Piazza Belgioioso, 1.
CALABRESI Luigi - LOGRANO Savino - PANESSA Vito - CARACUTA Giuseppe - MAINARDI Carlo - MUCILLI Pietro:A) del reato previsto e punito dagli articoli 110, 112 n. 1 , 575, 61 n. 9 C.P. per avere, in Milano, in concorso tra loro e, cioè, di numero di persone superiore a 5, con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti alla loro qualità di Ufficiadi Polizia Giudiziaria, cagionato la morte di PINELLI Giuseppe, avvenuta alle ore 1,50 del 16 dicembre 1969 a segui-to di precipitazione da una finestra del 4º piano della Questura di Milano.
B) del reato previsto e punito dall’articolo 606 C.P. perché, nella sua qualità di Commissario Capo di P.S. dirigente l’Ufficio politico della Questura di Milano, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni, procedeva all’arresto illegale dell’a-narchico PINELLI Giuseppe, trattenendo lo stesso nei locali della Questura in istato di fermo dalla sera del 12 fino allanotte tra il 15 e il 16 dicembre 1969 e, cioè, per un tempo ben superiore a quello strettamente necessario per il suointerrogatorio, omettendo di farlo tradurre immediatamente nelle carceri giudiziarie a disposizione del Procuratore dellaRepubblica e comunicando a quest’ultimo la notizia dell’avvenuto fermo con notevole ritardo rispetto al momento in cuiil fermo di polizia giudiziaria si era effettivamente verificato.
C) del reato previsto e punito dall'articolo 368, 1º e 2º comma C.P. per avere, con denunzia da lui sottoscritta e presenta- ta al Procuratore Generale di Milano il 23 giugno 1971, incolpato dei delitti di omicidio volontario, violenza privata,sequestro di persona, abuso di ufficio e abuso di autorità, pur sapendoli innocenti, Allegra Antonino, Calabresi Luigi,Mainardi Carlo, Panessa Vito, Caracuta Giuseppe, Mucilli Pietro e Lograno Savino.
inoltre, in alternativa al reato di cui alla lettera A): D) del reato previsto e punito dagli articoli 41 p.p., 589 p.p. C.P. perché, in Milano, concorreva a causare per colpa la morte di PINELLI Giuseppe, avvenuta in seguito di lesioni da precipitazione alle ore 1,50 del 16 dicembre 1969, in quanto nellasua qualità di funzionario addetto all’Ufficio politico della Questura di Milano, che aveva ricevuto dal dirigente dell’Ufficiostesso l’incarico di interrogare la persona sopra indicata, custodita in istato di fermo nei locali della Questura stessa,circa i rapporti intrattenuti con Valpreda Pietro (indiziato come autore della strage verificatasi in Milano il 12-12-1969nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura) e dopo che nel corso del lungo interrogatorio erano state rivolte alPinelli, da lui e dal dirigente dell’Ufficio. domande e contestazioni «ad effetto» dalle quali avrebbe potuto derivare all’in-terrogato il convincimento che la Polizia era a conoscenza di gravi elementi a suo carico in ordine a sue eventualiresponsabilità per la strage di cui sopra o per precedenti attentati dinamitardi o, comunque, in ordine alla responsabi-lità di elementi anarchici in relazione alla strage predetta, ometteva, a interrogatorio ultimato, di impartire le opportunedisposizioni per la vigilanza e la custodia del fermato, e, in particolare, ometteva di disporre che lo stesso venisse ade-guatamente custodito in un locale interno dell’edificio a tal uopo adibito o venisse, quanto meno, strettamente sorve-gliato a vista da personale specificatamente incaricato, cosicché il Pinelli, rimasto in sua momentanea assenza in con- dizioni di relativa libertà di movimento nella stanza con finestra a balcone ove l’interrogatorio si era svolto, poteva, conmossa improvvisa e tale da prevenire il possibile intervento delle altre Persone casualmente presenti nell’ufficio stes-so, precipitarsi dalla finestra sita al quarto piano dell’edificio.
Con atto presentato il 24 giugno 1971 alla Procura Generale della Repubblica di Milano, la signora Rognini Licia, vedovadell’anarchico Giuseppe Pinellì, precipitato nella notte fra il 15 ed il 16 dicembre 1969 dalla finestra balcone dell’ufficio delcommissario Luigi Calabresi, sito al quarto piano della Questura di Milano, e deceduto a seguito di gravissime lesioni pocodopo la precipitazione, denunciò il commissario Luigi Calabresi, il commissario Antonino Allegra, il brig. Vito Panessa, ilbrig. Giuseppe Caracuta, il brig. Carlo Mainardi, il brig. Pietro Mucilli, tutti in servizio al tempo dei fatti presso l’UfficioPolitico della Questura di Milano, ed il tenente dei Carabinieri Savino Lograno, per i delitti di omicidio volontario, violenzaprivata, sequestro di persona, abuso di ufficio, abuso di autorità e per le violazioni dei doveri di cui all’art. 229 c.p.p., nonpenalmente sanciti.
La vedova Pinelli, dopo aver rievocato come gli accertamenti sulle cause della morte del proprio marito fossero stati con-dotti dalla Procura della Repubblica di Milano, assurdamente, sotto l’etichetta delle «indagini preliminari» etichetta cheescludeva qualsiasi sua partecipazione e come tali accertamenti si fossero conclusi il 3 luglio 1970 con un decreto di archi-viazione del Giudice Istruttore che: pur essendo composto di 55 pagine, non conteneva «un’ombra di motivazione reale»,espose gli elementi emersi in quella istruttoria e soprattutto nel corso del dibattimento celebratosi presso la i Sezione delTribunale di Milano nel processo penale a carico di Pio Baldelli, imputato di diffamazione aggravata a mezzo stampa neiconfronti del commissario Luigi Calabresi.che, a suo giudizio, giustificavano, da parte della Procura Generale, eserciziodell’azione penale per i reati indicati. Era emerso infatti:1) che Giuseppe Pinelli era stato fermato il 12 dicembre 1969 e trattenuto in Questura abusivamente ed arbitrariamente in quanto nei suoi confronti non esisteva alcun grave indizio in ordine al reato di strage su cui si stava indagando etanto meno pericolo di fuga; 2) che la Questura non aveva osservato per il fermo le prescrizioni di cui all’art. 238 c.p.p.;3) che il Pinellì era stato sottoposto a stringenti interrogatori, con modalità assolutamente non consentite e tali da confi- gurare forme di abuso penalisticamente rilevanti. In particolare era stata usata violenza morale nei suoi confronti daparte del dott. Calabresi che, contrariamente al vero, gli aveva contestato che «Valpreda aveva parlato» e da parte deldott. Allegra che, contrariamente al vero, gli aveva contestato di avere le prove che egli era l’autore dell’attentato com-messo all’Ufficio Cambi della Stazione Centrale di Milano il 25 aprile 1969; 4) che l’ambulanza con cui Pinelli fu trasportato all’Ospedale Fatebenefratelli era stata chiamata certamente prima del- l’ora segnata sui rapporti della stessa Questura come quella della precipitazione; 5) che il cadavere del Pinelli, al momento dell’autopsia, presentava un segno di agopuntura alla piega del gomito, che non trovava alcuna giustificazione nella terapia praticatagli prima della morte; 6) che i periti, sempre nel corso dell’autopsia, avevano riscontrato alla base del collo «un’area ecchimotica», grossola- namente ovalare di cm. 6 x 3 che, mentre non si accordava con l’ipotesi prospettata dalla Polizia, si accordava invececertamente con l’ipotesi del colpo di karatè; 7) che il dott. Allegra ed il dott. Calabresi più volte avevano minacciato il Pinelli (dep. dei testi Vurchio, Guarneri e Zoppi);8) che il Pinelli era uomo pacato, sereno, fermo, convinto delle sue idee, solido e resistente, aveva cioè personalità dia- metralmente opposta a quella di coloro che la scienza più moderna indicava come «predestinati» al suicidio; 9) che le ridotte dimensioni dell’ufficio del dott. Calabresi, consentivano certamente alle cinque persone presenti, di bloc- care immediatamente una qualsiasi iniziativa del Pinelli.
Ciò naturalmente, oltre le numerosissime ed evidenti contraddizioni in cui erano caduti i vari protagonisti della Polizia, nelnarrare i fatti accaduti, contraddizioni che non potevano trovare altra spiegazione che nella volontà di voler celare grosseresponsabilità.
Osservò infine la vedova che non poteva non avere significato il fatto che, nel processo per diffamazione a carico di PioBaldelli, il difensore del commissario Calabresi, avvocato Lener, all’evidente fine di impedire la riesumazione del cadave-re del Pinelli e la perizia medico-legale diretta a stabilire se alcune delle lesioni riscontrate preesistevano alla caduta e sevi fossero altre lesioni non riscontrate nel corso dell’autopsia, avesse ricusato il Presidente del Collegio giudicante con ilpretesto che questo, fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, avrebbe affermato di essere convinto, con i Giudici delCollegio, che il Pinelli era stato colpito con un colpo di karatè che aveva cagionato una lesione del bulbo spinale.
A seguito della denuncia e con provvedimento del 21 luglio 1971 il Procuratore Generale decise, a norma dell’art. 234c.p.p. di esercitare l’azione penale e di procedere egli stesso con istruttoria sommaria. Sentiti come testimoni la denun-ciante Rognini Licia, Malacarne Rosa e tutti i carabinieri presenti la notte del 15 dicembre 1969 in Questura, compreso ildenunciato tenente Savino Lograno, acquisiti i rapporti della Questura relativi al fermo del Pinelli, il 25 agosto 1971, lostesso Procuratore Generale emise avviso di procedimento nei confronti del commissario Luigi Calabresi per il delitto p.p.
dall’art. 589 c.p. e nei confronti del dott. Antonino Allegra per il delitto p.p. dall’art. 606 c.p.
Il 15 settembre 1971 quindi questo G.I. venne richiesto di procedere con il rito formale nei confronti del commissarioCalabresi per il delitto di cui al capo D) e nei confronti del commissario Antonino Allegra per il delitto di cui al capo B).
Venne richiesto inoltre di procedere all’esumazione della salma di Giuseppe Pinelli e di disporre perizia medico-legale sulseguente quesito: i resti del cadavere di Giuseppe Pinelli; il verbale di ricognizione, descrizione e sezione del cadavere predetto, redatto in data 18-12-1969 dal SostitutoProcuratore della Repubblica dott. Giovanni Caizzi e dai periti prof. Raineri Luvoni, prof. Guglielmo Falzi e prof. FrancoMangili e relativi allegati; la relazione di perizia medico-legale sulle cause e le circostanze della morte di Giuseppe Pinelli redatta in data 13-1-1970 dai suddetti professori Luvoni, Falzi e Mangili per incarico del Magistrato innanzi indicato; il materiale custodito presso l’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Milano di cui alla lettera 28-8-1971 inviatadalla direzione dell’Istituto stesso alla Procura Generale della Repubblica di Milano; il verbale di visita e descrizione di località redatto in data 16-1-I970 dal Sostituto Procuratore della Repubblica dott.
Giovanni Caizzi.
«Assunte le informazioni del caso dagli esecutori della necroscopia di cui al verbale sopra indicato ed eseguiti (previa auto-rizzazione del Magistrato) tutti gli accertamenti e gli esami (in particolare radiologici) che riterranno opportuni, dicano i peri-ti:1) quale sia stata la causa della morte di Giuseppe Pinelli;2) quali siano state le circostanze per le quali essa si verificò;3) quali siano state la genesi e il reciproco rapporto temporale delle fratture, delle ferite, delle escoriazioni, delle contu- sioni e, comunque, di tutte le anomalie anatomiche che siano state o vengano riscontrate sul cadavere di GiuseppePinelli».
Pochi giorni dopo la richiesta di formale istruzione, il 22 settembre 1971, l’avvocato Michele Lener, difensore della partecivile dott. Calabresi nel procedimento penale a carico di Pio Baldelli, presentò alla stessa Procura Generale una lunga edettagliata (200 pagine con 38 allegati) denuncia per il delitto di calunnia, nei confronti dell’avvocato Carlo Smuraglia.
Le menzogne, le omissioni, le distorsioni ed i travisamenti scientemente elaborati dei fatti emersi nel corso dell’istruttoriaprima e del dibattimento Baldelli poi, erano la dimostrazione palese, a giudizio dell’avv. Lener, della malafede dell’esten-sore della denuncia e della sua consapevolezza di incolpare persone innocenti.
E che l’estensore della denuncia, sottoscritta sia dalla vedova Pinelli che dal suo patrono avvocato Carlo Smuraglia, fossequest’ultimo, si ricavava chiaramente dal fatto che essa era il frutto di uno studio approfondito degli atti processuali che lavedova Pinelli non poteva certamente aver fatto.
Anche per questa denuncia il Procuratore Generale esercitò l’azione penale ed il 23 settembre successivo richiese a que-sto Giudice Istruttore di procedere con il rito formale riunendo il processo (nr. 274/71) ed altri, già trasmesso.
La riunione dei due procedimenti avvenne con ordinanza del 12 ottobre 1971Il 19 ottobre 1971, giunse infine a questo Giudice Istruttore rogatoria della I Sezione del locale Tribunale perché venissedata esecuzione all’ordinanza pronunciata nel procedimento penale a carico di Pio Baldelli il 26 marzo 1971 del seguen-te tenore: «rimette gli atti al G.I. in sede perché proceda:1) alla indagine sugli indumenti di Pinelli, nel caso che gli stessi siano rintracciati e sempre che si trovino nelle precise 2) alla esumazione del cadavere e conseguente esame radiologico scheletrico così come dai quesiti proposti dalla dife- 3) manda al G.I. di acquisire agli atti i reperti istologici relativi al cadavere del Pinelli e conservati presso il locale Istituto di Medicina Legale, mettendoli tutti a disposizione dei nominandi periti (medici legali e tecnici)per quanto di loro com-petenza previa indicazione da parte dei proff. Luvoni, Mangili e Falzi, delle modalità di esecuzione dell’autopsia.
«Formula per i periti i seguenti quesiti:1) accertino i periti quali possano essere state le modalità di precipitazione del corpo del Pinelli in rapporto alle emergenze del compiuto sopralluogo e alle lesioni riscontrate o riscontrabili; 2) accertino i periti, attraverso l’esame delle lesioni riscontrate o riscontrabili sul corpo del Pinelli, quali ne siano state la gene si ed il reciproco rapporto temporale, esame da compiersi sui verbali dell’autopsia, sui reperti, tenuto conto di tuttele risultanze dibattimentali, e a mezzo dell’esame tanatologico e di quello radiologico dello scheletro previa esumazio-ne del cadavere di Pinelli».
Sia la richiesta dei Procuratore Generale, così come formulata, sia la rogatoria della I Sezione del Tribunale, apparivanosubito non meritevoli di accoglimento.
Il Procuratore Generale infatti, mentre nel capo di imputazione formulato nei confronti del dott. Calabresi, dava per scon-tato che Pinelli si era volontariamente lanciato dalla finestra della Questura, chiedendo di procedere a perizia medico-lega-le per accertare: «quale era stata la genesi ed il rapporto temporale fra le fratture, le ferite, le escoriazioni e le contusioniriscontrate o riscontrabili sul corpo dello stesso Pinelli (da riesumare)» ammetteva, quanto meno in linea di ipotesi, che gliavvenimenti e la precipitazione non si fossero verificati nella maniera assunta dagli Ufficiali di P.G. protagonisti della vicen-da, ma in una delle diverse maniere prospettate dalla stampa e dalla stessa denunciante.
Delle due quindi l’una. 0 Pinelli si era volontariamente lanciato dalla finestra senza aver prima subito violenze fisiche edallora era assolutamente inutile, ai fini dell’istruttoria, procedere alla riesumazione del cadavere ed alla perizia medicole-gale. 0 Pinelli poteva, se pur solo in linea di verosimile ipotesi, averle subite ed allora la perizia era indispensabile ed altret-tanto indispensabile era che vi si procedesse con il pieno rispetto dei diritti di difesa di tutti gli indiziati.
La I Sezione del Tribunale poi richiedeva l’espletamento di una perizia che, a prescindere da qualsiasi altra considerazio-ne, appariva ultronea dopo il nuovo esercizio dell’azione penale da parte del Procuratore Generale in relazione alla mortedel Pinelli.
Questo Giudice Istruttore pertanto, da un lato con nota del 23 settembre 1971, prospettò alla Procura Generale dellaRepubblica l’opportunità di riservare la definitiva formulazione dei capi di imputazione, non solo nei confronti del commis-sario Calabresi, ma anche nei confronti di tutti coloro che si trovavano nella stanza di questo al momento del fatto e chefiguravano, tra l’altro, come denunciati per omicidio volontario, all’esito del richiesto accertamento peritale.
Dispose dall’altro la restituzione della rogatoria al Presidente del Tribunale perché esaminasse l’eventualità, in relazionealla competenza funzionale, di non delegare a questo Giudice Istruttore l’esecuzione della perizia medico-legale.
Ottenuta la riserva, nei termini indicati, da parte della Procura Generale, il 4 ottobre 197 1 questo G.I. emise avviso di pro-cedimento per omicidio volontario nei confronti del dott. Luigi Calabresi, del cap. Savino Lograno e dei brigadieri VitoPanessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi e Pietro MucilliDispose pure con ordinanza 20 ottobre 1971 che del procedimento a carico dei predetti fosse dato avviso, a norma del-l’art. 304 c.p.p., anche a Pio Baldelli.
Appariva evidente infatti che, poiché per il fatto attribuito dal Baldelli al commissario Calabresi era stata promossa l’azio-ne penale e poiché la sentenza pronunciata nel relativo procedimento era destinata a fare stato nel processo penale perdiffamazione, anche se al limitato fine della applicabilità della causa di non punibilità di cui all’ultimo comma dell’art. 596c.p., il Baldelli fosse portatore proprio di quell’interesse menzionato dall’art. 304 c.p.p. ai fini della partecipazione al pro-cedimento.
Sequestrata la cartella clinica del Pinelli presso l’Ospedale Fatebenefratelli, venne quindi disposta perizia medico-legalesul seguente quesito:«Esaminati:1) i resti del cadavere di Giuseppe Pinelli;2) il verbale di ricognizione, descrizione e sezione del cadavere predetto, redatto in data 18-12-1969, dal Sostituto Procuratore della Repubblica dott. Caizzi e dai periti proff. Raineri Luvoni, Guglielmo Falzi e Franco Mangili; 3) la relazione di perizia medico-legale sulle cause e le circostanze della morte di Giuseppe Pinelli, redatta in data 13-1- 1970 dai suddetti proff. Luvoni, Falzi e Mangili per incarico del Magistrato innanzi indicato; 4) i preparati istologici, le parti di visceri ed i liquidi organici, residuati dagli esami tossicologici già eseguiti e custoditi pres- so l’Istituto di Medicina Legale di Milano; 5) gli indumenti indossati al momento della caduta dal Pinelli, ancora conservati presso l’Istituto di Medicina Legale 6) le deposizioni rese a questo G.I. dai proff. Luvoni, Falzi e Mangili il 27-9-1971 e dai dott. Fiorenzano, Trupiano, Bottani 7) la documentazione sequestrata da questo Ufficio presso l’Ospedale Fatebenefratelli;8) la documentazione trasmessa a questo Ufficio dall’Istituto Meteorologico di Brera;9) la consistenza dell’aiuola nel punto in cui cadde il Pinelli secondo le deposizioni dei testi Antonio Manchia, Aldo « Eseguita, con l’intervento di questo Ufficio, accurata ispezione dei luoghi in cui l’evento si verificò;« Tenuto conto delle risultanze di eventuali esperimenti giudiziali che si dovessero rendere necessari nel corso della peri-zia e su cui questo Ufficio si riserva di deliberare a richiesta del Collegio Peritale;«Tenuto conto infine delle deposizioni dei testi che l’Ufficio esaminerà eventualmente con l’intervento di esso Collegio peri-tale;«Eseguiti direttamente tutti gli esami e gli accertamenti tecNici che riterranno opportuni, dicano i periti:A) se il corpo del Pinelli presenti altre lesioni, oltre quelle già riscontrate dai periti proff. Luvoni, Falzi e Mangili, in partico- lare al livello degli arti e della 1ª e 2ª vertebra cervicale; B) se le lesioni stesse siano riferibili a periodo precedente o successivo alla morte;C) quale sia stata la genesi di ciascuna lesione riferibile a periodo antecedente alla morte;D) quale sia stata la successione cronologica delle lesioni stesse;E) quali siano state le modalità della caduta del corpo;F) quale sia stata la causa della morte di Giuseppe Pinelli ».
Nel corso della perizia vennero quindi eseguiti, con l'intervento dei periti e dei difensori delle parti ispezioni di luoghi e variesperimenti giudiziali.
Venne pure chiamato ad integrare il Collegio il prof. Rodolfo Margaria dell'Istituto di Fisiologia Umana dell'Università diMilano, esperto in problemi relativi agli atteggiamenti del corpo umano in caduta ed alle conseguenti modificazioni di traiet-toria.
Esperite infine tutte le indagini istruttorie richieste dal Pubblico Ministero o dai difensori delle parti ritenute influenti ai finidella decisione, gli atti vennero trasmessi al P.M. il quale, il 25 febbraio 1975, concluse come da requisitorie in atti.
L’IMPUTAZIONE DI OMICIDIO VOLONTARIO.
PROSCIOGLIMENTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE.
Letti gli atti, lette le requisitorie del P.M., lette le memorie dei difensori, osserva preliminarmente il Giudice lstruttore chel’iniziativa del Procuratore Generale, di esercitare nuovamente l’azione penale in relazione alla morte di Giuseppe Pinelli,era più che giustificata e legittima.
La morte dell’anarchico seguiva di pochi giorni gli attentati del 12 dicembre 1969 che, per la loro concezione, per la fred-da determinazione degli autori, per l’elevatissimo numero di vittime innocenti, avevano creato un clima di tensione e diattesa.
Per le sue modalità e per essere avvenuta proprio negli uffici di coloro che erano preposti alle indagini per gli attentati,indagini che erano nel loro pieno svolgimento, non poteva non suscitare apprensioni e perplessità.
Sarebbe stato opportuno pertanto un accertamento della verità, rigoroso e tale da soddisfare le più che legittime aspetta-tive dell’opinione pubblica di ottenere una risposta dalla Magistratura ai tanti inquietanti interrogativi che l’episodio avevaposto.
Accadde invece che per essere ancora il nostro processo penale regolato da norme limitative del diritto di partecipazioneall’istruttoria della difesa delle parti e per essere state queste norme interpretate dalla Procura della Repubblica compe-tente per le indagini, in maniera estremamente restrittiva, non solo prima ma anche dopo l’entrata in vigore della legge 5-12-1969 n. 932, che pure aveva notevolmente ampliato il diritto in parola (non fu consentito alla vedova Pinelli di nomina-re un consulente tecnico per assistere alle indagini medico-legali, né fu consentito successivamente ai difensori, da que-sta ritualmente nominati, di prendere visione degli atti di cui all’art. 304 quater c.p.p.) tutta l’attività istruttoria fosse com-piuta senza la partecipazione di alcun difensore e rimanesse coperta dal segreto anche all’esito dell’istruttoria stessa,essendo stato richiesto e pronunciato dal Giudice Istruttore decreto di archiviazione.
Dell’attività istruttoria compiuta per l’accertamento della verità si poté avere piena cognizione solo quando i patroni dellavedova Pinelli, che aveva promosso causa per risarcimento dei danni nei confronti del Ministero dell’Interno, richiesero edottennero dal Consigliere Istruttore autorizzazione ad estrarre copie degli atti dal fascicolo penale al fine di produrle nellapredetta causa civile.
Emerse così, tra l’altro, che nessun accertamento era stato compiuto in relazione al punto di caduta, alla traiettoria per-corsa dal corpo dei Pinelli, all’ora della precipitazione e che il Collegio peritale aveva risposto ai quesiti del Procuratoredella Repubblica, senza prendere visione dei luoghi in cui si era verificato l’evento, così come sarebbe stato assoluta-mente indispensabile in un caso di morte per precipitazione, in cui non s’era ancora raggiunta alcuna certezza in ordinealle cause della precipitazione stessa.
La conoscenza del fascicolo penale pertanto anziché sopire riaccese i dubbi e le polemiche sulla morte dell’anarchico,dubbi e polemiche che giunsero al loro culmine nel corso dei procedimento per diffamazione del commissario LuigiCalabresi a carico di Pio Baldelli.
Ciò nonostante e pur essendo chiaro che in quella sede per i naturali limiti di un processo per diffamazione, non avreb-bero potuto essere colmate tutte le lacune della prima indagine, quanto meno senza intaccare, questa volta, i diritti di dife-sa di coloro che erano sospettati dell’uccisione dell’anarchico e che in quella sede avevano la veste di parte lesa e di testi-moni, la Procura della Repubblica non ritenne doveroso riaprire l’istruttoria.
Né lo ritenne quando la ricusazione del Presidente del Collegio giudicante da parte del difensore del commissarioCalabresi aveva tutta l’aria di essere una mossa diretta ad impedire o procrastinare il nuovo accertamento peritale sulcadavere del Pinelli, già disposto.
L’esercizio da parte del Procuratore Generale dei potere di surrogarsi al Procuratore della Repubblica, era pertanto, piùche una facoltà, una doverosa esigenza di porre fine alle inerzie della Procura della Repubblica ed alle conseguenti assur-de situazioni processuali venutesi a creare nel procedimento a carico di Pio Baldelli, e di far sì che le indagini relative allasussistenza di un determinato fatto reato si svolgessero nella loro sede naturale con il pieno rispetto dei diritti delle parti,sanciti dalla legge processuale e dalla Costituzione. Ciò premesso osserva che nessuno degli elementi che autorizzaro-no il sospetto che Giuseppe Pinelli fosse stato ucciso da coloro che, al momento della precipitazione, si trovavano nel-l’ufficio del commissario Calabresi e che giustificarono un nuovo esercizio dell’azione penale e la riesumazione del cada-vere del Pinellì stesso, ha trovato riscontro nel corso delle più approfondite indagini svolte in questa istruttoria.
Allorché la perizia medico-legale esperita subito dopo la morte di Giuseppe Pinellì divenne pubblica, fu notato che i peri-ti, al momento della descrizione esterna, avevano evidenziato un segno di agopuntura alla piega del gomito del bracciosinistro, di cui non si trovava poi, né nel corso della stessa perizia né nel corso delle indagini istruttorie, alcuna spiega-zione.
Fiorirono quindi una serie di ipotesi che andavano dalla somministrazione del siero della verità con conseguente gravemalore, alla somministrazione di cardiotonico per precedente grave malore.
In tutte le ipotesi la conclusione era comunque che i poliziotti presenti, presi dal panico ed al fine di evitare grosse perso-nali responsabilità, avevano deciso di simulare il suicidio per precipitazione, gettando il corpo inanimato del Pinelli dallafinestra.
Ora, dall’esperita istruttoria, è emerso che il segno di agopuntura riscontrato dai periti, fu dovuto al trattamento terapeuti-co praticato dai medici dell’Ospedale Fatebenefratellì, ove il Pinelli giunse ancora in vita.
La circostanza è provata in maniera assolutamente certa:1) dalla cartella clinica sequestrata il 22-9-1971 direttamente da questo Ufficio, presso l’amministrazione dell’Ospedale e la cui autenticità è stata riconosciuta dai medici che provvidero, a suo tempo, a redigerla.
In essa risultano essere stati praticati (per via endovena) al Pinelli, i seguenti medicinali: «Flebocortid 300 mg-, Emogel 500 cc., Effortil, Wyamina Iª fiala, 250 cc. di Soluzione Fisiologica e 3 fiale di Lavicor»; 2) dalle concordi deposizioni dei testi Fiorenzano dr. Nazzareno, Trupiano dr. Felice, Luzzani dr. Sergio, medici di turno al pronto soccorso, Bottani dr. Gilberto, medico di turno presso il reparto rianimazione, Antognini dr. Giuseppe, radio-logo di guardia, Vozzolì Elvira, Bergigior Dositeo, infermieri di turno e Peralda Flavio, barelliere dell’ambulanza; 3) dalle fotografie scattate nel pronto soccorso dell’Ospedale sequestrate in originale presso la redazione del «Corriere d’Informazione » ed apparse sulla prima pagina delle due edizioni del 16-12-1969. In esse è chiaramente visibile la«fleboclisi» applicata alla piega del gomito del braccio sinistro di Giuseppe Pinelli.
L’ora della precipitazione e di chiamata dell’ambulanza Le ipotesi formulate sul segno di agopuntura sembravano avvalorate dalla circostanza che, dai rapporti inviati allaMagistratura dall’Ufficio Politico della Questura di Milano e dalla relazione fatta al Ministero dell’Interno dall’Ispettore diPolizia dott. Elvio Catenacci, l’ora indicata come quella della precipitazione (rispettivamente 0,15 e 0,06 del giorno 16dicembre 1969) risultava posteriore a quella di chiamata dell’ambulanza (ore 24 del giorno 15 dicembre).
La circostanza cioè rendeva verosimile la considerazione che, di fronte al malore del Pinelli, la prima reazione fosse stataquella di richiedere l’intervento d’urgenza di un’ambulanza e che, l’aggravarsi o l’irrimediabilità del malore, avesse provo-cato una situazione di panico e determinato quindi la messinscena del suicidio per precipitazione.
Ora, l’ipotesi è risultata destituita di qualsiasi fondamento.
Per quanto riguarda la precipitazione infatti, anche a prescindere dalle deposizioni dei funzionari, sottufficiali e agenti diP.S. presenti, dalle concordi deposizioni dei giornalisti Palumbo, Angelino, Sicchiero ed Acquarone, di turno presso la SalaStampa della Questura, è emerso, in maniera assolutamente certa, che essa avvenne qualche minuto prima di mezza-notte.
Il teste Palumbo, corrispondente de «l’Unità» che terminava il suo turno a mezzanotte salutò i colleghi e abbandonò laSala Stampa, sita al primo piano, alle ore 23,57. Giunto nel cortile, e proprio mentre si accingeva ad attraversarlo perrecarsi agli Uffici della Volante a sentire le ultime novità, udì il rumore della precipitazione.
Il teste Giuseppe Colombo, fotografo dei «Corriere della Sera », inviato sul posto subito dopo che, dai cronisti della SalaStampa della Questura, fu data la notizia, uscì dal garage della redazione alle ore 24 precise.
Il Colombo giunse in Questura proprio mentre l’ambulanza lasciava il cortile della Questura e subito scattò alcune foto-grafie. In due di queste l’orologio della Questura segnava rispettivamente le ore 0,07 e le ore 0,08.
Per quanto riguarda l’ora di chiamata dell’ambulanza essa può essere tranquillamente fissata nelle ore 0,01 del 16 dicem-bre 1969.
Tale infatti è l’orario di chiamata che risulta segnata sul registro relativo alle chiamate d’intervento di ambulanza pervenu-te alla centrale operativa dei Vigili Urbani fra le ore 10,47 del 13 dicembre 1969 e le ore 2 1, 18 del 2o dicembre 1969 regi-stro sequestrato direttamente da questo Giudice, il 24 settembre 197 1, presso l’archivio della centrale stessa.
La fonte (Corpo dei Vigili Urbani) e la struttura (registro rilegato, numerato progressivamente per ciascuna chiamata e inte-ramente scritto a mano dai vari vigili che prestavano servizio presso la centrale) del documento, esimerebbero da qual-siasi altra considerazione sul suo valore probatorio.
Diremo pertanto, solo per completezza, che il Vigile Panizza Alfonso, che eseguii l’annotazione sul registro, iniziò il servi-zio alle ore 0,00 del 16-12-69 ed annotò, come di consueto, l’ora che indicava, al momento della chiamata, l’orologio elet-trico sito nella sala di fronte agli operatori e che l’equipaggio dell’ambulanza chiamata terminava il proprio turno a mez-zanotte e ricevette la chiamata proprio quando si accingeva a comunicare alla centrale dei Vigili che rientrava in sede.
Del resto l’esperimento giudiziale, eseguito con la stessa ambulanza, lo stesso equipaggio e ripetendo le stesse condi-zioni di tempo e di luogo, ha confermato che tale ora concorda perfettamente con l’ora in cui l’ambulanza giunse inQuestura (circa le 0,05) e con l’ora in cui il Pinelli fu ricoverato presso l’Ospedale Fatebenefratellì, 0,10 (vedi documentisequestrati da questo Ufficio presso l’Ospedale stesso).
Se ne deve concludere quindi che l’ambulanza fu chiamata subito dopo la precipitazione e che l’ora segnata sul rapportoe sulla relazione fu indicata con superficiale approssimazione.
La macchia ovalare - Il colpo di karatè Altra parte della perizia eseguita subito dopo la morte del Pinelli che suscitò l’interesse di coloro che non credevano allaversione ufficiale del suicidio, fu quella relativa «all’area grossolanamente ovalare» sulla superficie Posteriore del torace,alla base del collo di cm. 6 x 3, nella quale l’epidermide appariva lievemente ispessita con maggiore evidenza del disegnoreticolare, di colore più chiaro rispetto alla cute circostante che appariva violacea per ipostasi.
Di tale reperto la perizia non dava altra spiegazione oltre quella che «al taglio non si erano riscontrate infiltrazioni emor-ragiche dell’epidermide e del derma».
Ciò faceva ritenere che si trattasse di una lesione che, a differenza di tutte le altre, era caratterizzata da ischemia anzichéda infiltrazione emorragica dei tessuti.
Se così era, anch’essa andava riferita ad un’azione lesiva di tipo contusivo, difficilmente riconducibile o compatibile con laprecipitazione dall’alto, come le altre lesioni.
Affiorarono quindi perplessità varie, che giunsero sino alla formulazione dell’ipotesi che essa fosse dovuta ad un colpo di«karatè» (di colpo di karatè parlò esplicitamente il settimanale «Lotta Continua» nel nr. 12 del 14-5-1970).
Tali perplessità colpirono anche il Collegio chiamato a giudicare Pio Baldelli, direttore responsabile di «Lotta Continua»,per il reato di diffamazione a mezzo stampa nei confronti del commissario Luigi Calabresi.
Esso infatti con ordinanza 18 dicembre 1970 ritenne necessario procedere a perizia medico-legale collegiale al fine diaccertare: «se la cennata risultanza necroscopica era, in sede di accertamento tecnico, da ascrivere, pur tenuto conto del-l’accertata assenza di manifestazioni emorragiche:1) ad azione fisica violenta esercitata sul corpo del Pinelli subito o immediatamente prima della precipitazione al suolo dall’altezza di mt. 19,45, azione fisica determinante in quest’ultimo uno stato di incoscienza totale o parziale, provvi-sorio o permanente; 2) ovvero ad un eventuale rimbalzo del corpo del Pinelli dovuto durante la precipitazione o al termine della stessa;3) ovvero alle conseguenze dell’impatto stesso del corpo di Pinelli contro il suolo del cortile della Questura Centrale di Il Collegio peritale composto dai proff. Vittorio Chiodi, Aldo Franchini e Francesco Introna, rispettivamente direttori degliIstituti di Medicina Legale di Firenze, Genova e Padova, il 25 marzo 1971 depositò la relazione peritale concludendo:«Sulla base della valutazione critica degli elementi sottoposti al nostro esame (verbale di autopsia, perizia, fotografie delcadavere) riteniamo che la “area ovalare” descritta dai periti sulla superficie posteriore del torace, alla base dei collo, nonsia l’effetto di un trauma contusivo, ma sia un fenomeno tanatologico per compressione da appoggio in zona ipostatica.
Poiché il Tribunale non consegnò al Collegio peritale il reperto anatomico ancora conservato in formalina presso l’Istitutodi Medicina Legale di Milano, reperto che di conseguenza non fu preso in esame dai periti, le perplessità furono appenasopite.
Esse pertanto riaffiorarono nel corso della presente istruttoria.
A tale proposito il Collegio peritale nominato da questo Giudice Istruttore nella sua relazione conclusiva ha scritto:«Quanto all’area ovalare descritta “alla base del collo” sulla faccia posteriore del torace del PINELLI è da discutere se sitratti di una lesione vitale (riportata prima o nel corso della precipitazione) o di un reperto post-mortale.
«Nella prima eventualità e considerato che si tratterebbe ovviamente di una lesione contusiva, sono anzitutto da elimina-re l’ipotesi della irritazione semplice (che non lascia tracce sul cadavere), della escoriazione, della quale mancano i reper-ti di incartapecorimento cutaneo e tanto più la presenza di crosta, il colorito bronzeo ecc., e della ecchimosi, che ovvia-mente sarebbe stata ben evidente per il caratteristico colorito, che nel caso in esame mancava. Si è prospettata, in parti-colare, l’ipotesi diretta a identificare “l’area ovalare” in discussione con una “impronta negativa” analoga a quelle descrit-te dal Walcher (Beltr. ger. Med. 1932, p. 98) per lesioni prodotte con colpi di frusta o di bastone e che si presentano comeuna striscia ischemica, delimitata peraltro da due strie marginali iperemicoecchimotiche. Tale lesione sarebbe più preci-samente dovuta a un corpo contundente a superficie pianeggiante, delimitata da spigoli acuti.
«Analoghe “impronte negative” o “lesioni anemiche” o «ischemiche» sono state osservate dal Balàzs (Dtsche Ztschr.
ger.Med., 1933) in corrispondenza degli arti inferiori e delle regioni glutee in donne che si erano precipitate in acqua daun’altezza di circa dieci metri e l’Autore interpretò come dovute alla violenta compressione fra la superficie dell’acqua e ilpiano scheletrico sottostante alle parti molli e in particolare ai piani cutanei soggetti all’urto. Dal canto suo il Pensold(Dtsche Ztschrger.Med., 1938) trovò una “impronta negativa” sulla coscia di persona precipitata dall’alto di un terzopiano, nella zona cutanea che aveva urtato a piatto contro il suolo. All’esame istologico si osservava, nel caso, ischemiadei capillari della zona biancastra centrale e replezione vascolare con piccoli focolai emorragici in corrispondenza dei mar-gini, situati prevalentemente nello spessore del derma.
«Ha messo in evidenza il Pensold che l’”impronta negativa” può essere appena apprezzabile se situata in zona elevatadel cadavere, mentre è bene evidente nei suoi caratteri essenziali (pallore centrale con iperemia dei margini) se la lesio-ne risiede in zona declive. Lesioni di questo tipo sono state poi descritte da Tomio Watenabe (Atlante, op. cit.) dal Procop(Lehrbucb ger.Med., Berlino, 1960) ed altri.
«Osserviamo che nel caso del Pinelli “l’area ovalare”, per quanto situata in zona declive del cadavere, era del tutto privadel caratteristico alone congestizio-emorragico, il che fa ritenere non verosimile l’ipotesi della “impronta negativa” e conciò, considerato anche quanto si è detto in precedenza, l’altra eventualità del trauma contusivo locale, sufficiente a pro-vocare - tanto più data la sede non idonea - un turbamento soppressivo dello stato di coscienza. Riteniamo pertanto assaipiù verosimile che l’area ovalare null’altro fosse se non un reperto tanatologico, dovuto a un meccanismo di compressio-ne della cute in zona declive, che ha impedito il costituirsi in quel punto delle ipostasi; compressione esercitata precoce-mente ad opera di qualche superficie sporgente dal piano di giacitura del cadavere nel deposito mortuario (ad esempio il“ceppo” che si colloca sotto il collo del cadavere)«È stato affermato che “l’area ovalare” altro non sarebbe che l’effetto di una violenza traumatica esercitata sul Pinelli primadella precipitazione e tale da produrre perdita di coscienza.
«Osserviamo anzitutto che l’ipotesi si presenta assai poco verosimile, in quanto la sede di applicazione della violenza ela sua indubbiamente modesta intensità la rappresentano come non idonea ad incidere sullo stato di coscienza del sog-getto. Infatti abbiamo localizzato l'ubicazione di detta macchia come corrispondente al livello VII cervicale - I toracica.
« La sede, infatti, non è fra quelle cosiddette reflessogene ed è anatomicamente ben lontana dalle strutture encefalichedel tronco e della base, ove hanno sede i meccanismi fisiologici regolatori della coscienza, sì che soltanto nel caso di unaviolenza di tale intensità da determinare una commozione del midollo cervicale con espansione verso l'alto fino alle strut-ture endocraniche, ovvero tale da determinare un violento “colpo di frusta” (violenta iperestensione del capo da contrac-colpo, con stiramento esercitato sui tronchi arteriosi vertebrali e conseguente transitoria ischemía cerebrobasilare), sipotrebbe opinare l’insorgere di un fugace stato d’incoscienza.
«Ma in entrambe le due ipotesi l’azione contusiva deve essere di tale entità che non ne potrebbero mancare gli effetti con-tusivi locali bene evidenti (rilevanti manifestazioni ecchimotiche) anche a livello della cute, quali non si possono conside- rare i minuscoli spandimenti ematici, inapparenti all’esame macroscopico non evidenziati dai precedenti Periti che si sonolimitati ad esaminare gli strati superficiali della cute ed evidenziati soltanto da noi estendendo l’esame degli strati profon-di della cute (strato adiposo).
«Dobbiamo quindi concludere che si trattò al più di un’azione traumatica assolutamente inidonea a determinare effetti cli-nico-funzionali di qualche importanza e tanto meno la perdita di coscienza, sempre per di più confermando che la violen-za potrebbe essersi esercitata nel complesso meccanismo traumatologico della precipitazione.
«Quanto al reperto di “lieve ispessimento” cutaneo descritto dai primi Periti a carico della cute “dell’area ovalare”, osser-viamo che tale descrizione macroscopica non è stata confermata all’esame istologico, mentre non sapremmo come inter-pretare la sommariamente descritta “maggiore evidenza del disegno reticolare” se non, forse, con l’impressione dellatrama della maglia indossata dal Pinelli, evidente - come risulta dalle indagini fotografiche - nelle zone interessate dallelividure cadaveriche. t appena da accennare che la cute non presenta abitualmente nessun disegno reticolare».
I consulenti di parte dal canto loro, prospettarono l’ipotesi che «l’area ovalare » potesse essere stata determinata da forteazione contusiva che aveva determinato «violenta ipertensione del capo» con conseguente stato d’incoscienza.
L’ipotesi fu prospettata in base alla considerazione che i periti avevano riscontrato, esaminando al microscopio il repertoprelevato dal primo Collegio peritale al momento dell’autopsia, delle infiltrazioni ematiche, se pur di modestissima entitàche mal si conciliavano con la conclusione dei periti di «reperto tanatologico».
Ora, ritiene il giudicante che tale ipotesi non sia assolutamente convincente data la modestissima consistenza delle infil-trazioni ematiche riscontrate.
Di ciò si sono resi conto gli stessi consulenti quando, per superare l’ostacolo, hanno fatto riferimento ad un non meglioprecisato «mezzo lesivo atto a non lasciare traccia».
Essi, del resto, non hanno potuto negare che comunque lo stato d’incoscienza determinato sarebbe stato «fugace».
Uno stato cioè d’incoscienza di pochi secondi e tale da non giustificare assolutamente né situazione di panico né la deci-sione drastica della simulazione del suicidio per precipitazione.
Ciò posto le conclusioni dei periti appaiono più che corrette sul piano scientifico e per nulla contraddittorie.
Fermo restando il reperto tanatologico, la modestissima infiltrazione ematica potrebbe indiscutibilmente essere dovuta aduna qualsiasi causa coeva o successiva alla precipitazione (non bisogna dimenticare che il Pinelli era ancora in vita dopola caduta, ancora in vita durante il trasporto in Ospedale, ancora in vita al momento dell’esame radiografico ed ancora invita durante le operazioni di rianimazione, né bisogna dimenticare che non fu esaminata la condizione del punto dell’aiuolaove cadde ed in cui poteva esservi una pietra o un qualsiasi altro corpo duro).
La verità è che, com’è universalmente riconosciuto, in casi di precipitazione, il contributo all’accertamento della verità chepuò dare il semplice e solo esame medico-legale è sempre modesto e limitato.
Ne sia prova il fatto da una parte che i periti in relazione alla spiegazione delle cause di ogni lesione «ante mortem» hannousato l’espressione «verosimilmente» e dall’altra i consulenti tecnici, mentre non hanno contrastato con convinzione leargomentazioni medico-legali, hanno contrastato con estrema decisione le argomentazioní sull’ipotesi di caduta con slan-cio attivo prospettata come «maggiormente verosimile» dai periti.
Fu proprio per la consapevolezza dei limiti del contributo che le indagini medico-legali in particolare e tecniche in genera-le possono dare in casi di precipitazione che questo Giudice Istruttore parallelamente si preoccupò di stabilire con la mas-sima esattezza possibile il punto di caduta del corpo, di disporre una serie di ispezioni e di esperimenti (stimolando sem-pre la dialettica tra i periti, consulenti e difensori delle parti, per l’apporto che essa, naturalmente, dava alla prospettazio-ne e risoluzione dei problemi), di procedere ad un accurato e critico riesame degli atti sia della prima istruttoria che deldibattimento a carico di Pio Baldelli, di eseguire infine, una serie di indagini istruttorie collaterali.
L’esame delle contrastanti versioni sull’accaduto. Le preoccupazioni degli Ufficiali di P.G. presenti alla precipitazione e laconferenza stampa del Questore Marcello Guida Dall’attento e critico esame degli atti processuali, emerge che, subito dopo la precipitazione vi furono, da parte dei pre-senti, reazioni di sgomento dovute non tanto a sentimenti di pietà verso il Pinelli quanto a considerazioni più o meno con-scie delle conseguenze negative personali che da quell’episodio potevano loro derivare.
Ne sono prova evidente la circostanza che il dott. Allegra dopo essersi portato le mani fra i capelli e lo stesso dott.
Calabresi, non si preoccuparono di precipitarsi nel cortile e di accertare le condizioni di salute del Pinelli (cosa che sinto-maticamente fece il solo ten. Lograno, estraneo all’ufficio ed occasionale spettatore sia dell’interrogatorio che della preci-pitazione) ma di avvertire il Questore.
La circostanza che il Calabresi ed il Panessa manifestarono subito dopo con il Valitutti una sorta di inconsapevole risen-timento con l’«ingrato» Pinelli, il primo affermando che il Pinelli aveva le mani in pasta dappertutto, era dentro fino al collonegli attentati del 2.5 aprile 1969 e che ciò malgrado « la polizia non gli aveva mai dato fastidio » ed il secondo che Pinelliera un delinquente e, se si era buttato, voleva dire che in qualche modo era coinvolto negli attentati.
La circostanza infine che il dott. Allegra ed il dott. Calabresi riferirono al Questore che il secondo si era allontanato dal suoufficio, non per consegnare il verbale dell’interrogatorio ormai già terminato, ma per riferire subito al Capo dell’Ufficio cheil Pinelli era rimasto visibilmente scosso allorché gli era stato detto che Valpreda aveva confessato (arg. ex dep. On.
Alberto Malagugini, giornalista Camilla Cederna del 6-4-70 e dott. Marcello Guida del 28-6-74 ed ex rapporto Allegra del16-12-69 nr. 33810/U.P.).
Ma quella stessa notte avvenne altro episodio che, a parere del giudicante, ebbe notevole influenza sul comportamentodei protagonisti della vicenda.
Il dott. Marcello Guida, Questore di Milano, nonostante l’On. Malagugini avesse richiamato la sua attenzione sulle graviresponsabilità che si assumeva nel rendere pubblico il suo convincimento sulla responsabilità negli attentati degli anar- chici in generale e del Pinelli in particolare (e questa circostanza dovette avere certamente il suo peso nella formazionedi probabile convincimento da parte degli Ufficiali di P.G. presenti che il Questore non agisse di sua iniziativa), tenne unaconferenza stampa sulle modalità della morte dei Pinelli nel corso della quale fece affermazioni poi riportate dalla stam-pa, quali: «Era fortemente indiziato». «Ci aveva fornito un alibi ma questo alibi era completamente caduto ». « Il funzio-nario e l’ufficiale gli hanno rivolto un’ultima contestazione. Un nome, un gruppo: li conosceva? Li aveva visti? Quando?Poi sono usciti dalla stanza. Di improvviso Giuseppe Pinelli è scattato. Ha spalancato i battenti della finestra socchiusi esi è buttato nel vuoto» («Corriere della Sera» del 16-12-69). «Quando si è accorto che lo Stato che lui combatteva lo stavaper incastrare, ha agito come avrei agito io stesso se fossi un anarchico» («l’Unità»del 17-12-69), «E stato coerente coni suoi principi. Se fossi stato in lui avrei fatto la stessa cosa. Quando ha visto che la legge lo aveva preso si è tolto la vita»(«Corriere d’Informazione» del 16-12-69), affermazioni che nessun dubbio potevano lasciare sulla colpevolezza del Pinelli.
Ora, la preoccupazione di cui si è detto e la più o meno consapevole certezza che la versione del suicidio era gradita « AISUPERIORI», che l’avevano, senza esitazione alcuna, utilizzata come strumento per avvalorare la tesi della colpevolez-za degli anarchici, ebbero un’influenza certamente notevole nella formulazione delle versioni dell’accaduto che ciascunodei presenti dette al Magistrato del PM. dott. Caizzi il successivo giorno 16 dicembre 1969.
Il brig. Panessa infatti parlò di «scatto felino», il ten. Lograno ed il brig. Mainardi di «scatto verso la finestra», il brig. Mucillidi «tuffo oltre la ringhiera», il brig. Caracuta di «balzo repentino verso la finestra».
La riprova di tanto è data dal fatto che, quando i protagonisti vengono chiamati di nuovo a deporre nel corso del dibatti-mento Baldelli, allorché queste preoccupazioni e suggestioni sono cessate (era stato pronunciato decreto di archiviazio-ne nel procedimento penale relativo alla morte del Pinelli ed il P.M. ed i Magistrati di Roma, che avevano proceduto all’i-struttoria nel procedimento relativo agli attentati del 12-12-1969, avevano escluso qualsiasi responsabilità dello stessoPinelli) abbandonano i toni prima tanto univoci, sicuri, sia sulla repentinità dello scatto che sul tuffo volontario oltre la rin-ghiera.
Il ten. Lograno ammette, all’udienza del 14-10-70, di non aver visto lo scatto verso la finestra né il tuffo oltre la ringhieradichiarando: «Dopo che Pinelli introdusse la mano fra i battenti mi distrassi, sentii il rumore delle ante e vidi i due sottuffi-ciali che facevano di tutto per portarsi nel vano del balcone. Vidi le suole delle scarpe di Pinelli all’altezza della ringhiera».
Il brig. Mucilli all’udienza del 29-10-70 ammette, a suo volta, di non aver visto Pinelli tuffarsi oltre la ringhiera e dichiara: «Sentii gridare si è buttato ed il rumore dello sbattere della finestra, i piedi di Pinelli (che precipitava a testa in giù) eranogià oltre la metà della ringhiera».
Il brig. Caracuta all’udienza del 28-10-70 ammette di aver mentito quando dichiarò al P.M. dott. Caizzi di aver visto Pinellifare un balzo repentino verso la finestra spalancata e buttarsi nel cortile e dichiara: «Mentre rileggevo le copie dei verba-le udii sbattere la finestra, vidi Panessa (nei pressi della ringhiera) sporgersi come per trattenere qualcosa».
MAINARDI e PANESSA infine, pur mantenendo ferma la versione del suicidio, non parlano più di scatto felino verso la fine-stra da parte del Pinelli, ma solo di apertura repentina del battente e di balzo nel vuoto.
Ora, da queste versioni, che appaiono le più attendibili, non solo per l’assenza di preoccupazioni e suggestioni, ma ancheperché, nella loro varietà, meglio si accordano con la normale diversità di percezione che più persone presenti ad un epi-sodio devono avere per la necessariamente diversa condizione di attenzione e per il diverso « tempo di reazione agli sti-moli» di ciascuno, si ricava in maniera chiara ed inequivocabile che:1) Pinelli si avvicinò alla finestra-balcone ed aprì il battente in maniera assolutamente normale come se volesse scuote- re la cenere della sigaretta o prendere una boccata d’aria. Se così non fosse infatti il ten. Lograno, che vide Pinelli men-tre infilava la mano fra i battenti socchiusi, avrebbe gridato per richiamare l’attenzione del Mainardi e del Panessa cheerano nei pressi, o quanto meno non avrebbe distolto la sua attenzione così come invece fece.
2) Il rumore dell’anta sbattuta fu contemporaneo al grido lanciato dal Mainardi e precedette di frazioni di secondo, se non fu addirittura contemporaneo o successivo, la precipitazione.
Pur voltandosi di scatto verso il punto da cui proveniva il rumore e il grido, nessuno degli altri presenti nella stanza, oltreil Panessa ed il Mainardi, e compreso lo stesso teste brig. Sarti che si trovava sulla porta, ebbe modo infatti di vederePinelli mentre superava la ringhiera. Sarti e Lograno videro i piedi del corpo che precipitava a testa in giù all’altezza dellaparte superiore della ringhiera; Mucilli vide la sola parte inferiore del corpo oltre la metà della ringhiera; Mainardi, infine,non riuscì a vedere il corpo che precipitava ma solo Panessa che si sporgeva dalla finestra come per trattenere qualco-sa.
Ammesso e non concesso quindi che fu Pinelli con un suo movimento a sbattere il battente (e non Mainardi nel tentativodi bloccare il corpo), egli non tornò indietro per spiccare un balzo.
Fra il rumore ed il momento in cui il corpo si trovava oltre la ringhiera non intercorse infatti che il brevissimo tempo di rea-zione di un uomo ad uno stimolo acustico (così com’è dimostrato dalle diverse percezioni dei singoli in relazione al diver-so soggettivo tempo di reazione) tempo certamente inferiore a quello che avrebbe impiegato Pinelli a tirarsi di uno o piùpassi indietro e spiccare un salto.
3) Il primo delle persone presenti nella stanza a gridare « Si è buttato, si è buttato* e ad uscire nel corridoio gridando la stessa frase fu il ten. Lograno. Ed egli, non avendo visto le modalità di precipitazione, ciò fece, non per scienza diret-ta, ma per logica inconscia deduzione.
L’ultima volta che aveva visto Pinelli era nei pressi del balcone, da solo. Poi stava già precipitando nel vuoto, ergo si erabuttato.
Le risultanze delle indagini sul punto di caduta L’accurato esame delle risultanze processuali consente di ritenere, senza ombra di ragionevole dubbio, che il corpo delPinelli cadde nell’aiuola, in zona ricompresa tra i mt . 2 circa e mt. 2,66 dalla parete su cui si apre la finestra del comm.
Calabresi e tra i mt. 2,70 circa e i mt- 3,50 circa dalla parete a sinistra per chi entra in Questura.
Esso, dopo la caduta, era posto in posizione quasi parallela alla prima parete e con la testa più prossima dei piedi allaparete stessa, la parte alta del corpo rivolta verso la parete e le estremità inferiori rivolte verso il vialetto centrale del cor-tile.
Il teste Massimo Cambiaghi, barelliere dell’ambulanza infatti, che, nel corso dell’esame testimoniale eseguito sul posto,ha dichiarato che il corpo del Pinelli si trovava con il capo a mt. 2,32dalla parete prospicente ed a mt. 3,59 dalla parete disinistra. Ha ricordato anche, con certezza, non solo di aver osservato con H suo compagno di equipaggio, subito dopo,che se il corpo fosse caduto poco più in là si sarebbe sfracellato sulla pietra del vialetto circostante l’aiuola (vialetto chemisura dalla parete all’aiuola mt. 1,66), ma anche che per giungere nei pressi del corpo dovette girare intorno ad un albe-ro, che gli dette fastidio durante le operazioni di caricamento.
L’altro barelliere, il Peralda, dal canto suo, sentito dal P.M. nell’immediatezza dei fatti, ha dichiarato che il corpo si trova-va nell’angolo sinistro dell’aiuola (per chi entra in Questura) tra la siepe e l’albero.
I testi Domenico Pitea, Benito Sicchiero, Corrado Angelino e Giacomo Salmeri ancora, esaminati sul posto, sono statiassolutamente concordi nel dichiarare che il corpo del Pinelli si trovava, in posizione pressoché parallela alla parete pro-spicente, in zona dell’aiuola molto prossima a quella indicata dai sopra citati testi Cambiaghi e Peralda.
Ora tali deposizioni sono certamente più attendibili di quelle rese a questo G.i. dai testi Antonio Manchia e Aldo Palumbo,che hanno dichiarato che il capo del Pinelli dopo la caduta si trovava rispettivamente a mt. 4,12 e mt. 4,04 dalla pareteprospicente.
Non solo infatti il Manchia ed il Palumbo osservarono il corpo del Pinelli solo per un attimo ed in preda alla viva emozio-ne certamente seguita alla scoperta, mentre il Pitea, il Sicchiero, l’Angelino ed il Salmeri si trattennero presso il corpo delPinelli anche dopo aver vinto la prima emozione, per tutto il tempo che esso giacque sull’aiuola in attesa dell’ambulanza,ma gli stessi Manchia e Palumbo, sentiti dal P.M. dott. Caizzi, nell’immediatezza dei fatti dichiararono concordemente cheil corpo cadde a circa due metri o poco più dalla parete prospicente (vedi dep. fg. 46 e 47 - 70 e 71 in vol. III, cart. I).
Le deposizioni del Cambiaghi, Peralda, Pitea, Angelino, Sicchiero e Salmeri poi, trovano riscontro in circostanze obbietti-ve incontrovertibili. L’unico albero dell’aiuola invero, sito nell’angolo sinistro, per chi entra in Questura (gli altri sono in partidiverse dell’aiuola e rispettivamente a mt. 6,50, 8 e 10,50 dalla verticale della finestra dell’ufficio del comm. Calabresi), èquello il cui fusto, come emerso dalle ispezioni, dista Mt. 2,66 dalla parete prospicente e Mt. 2,71 dalla parete di sinistra.
E che proprio questo fosse l’albero cui fecero riferimento Cambiaghi e Peralda è dimostrato, dal fatto che esso subito dopola precipitazione, presentava (come risulta dalle numerose fotografie scattate dopo pochi minuti dai numerosi fotografidelle redazioni dei quotidiani di Milano accorsi sul posto ed il mattino successivo dai fotografi della Polizia Scientifica)alcuni dei rami, rivolti verso la parete prospicente, spezzati di fresco (vedi foto nn. 4-5-6-7 del vol. VI, cart. I e nn. 6-9-11-14-17 del vol. VIII, cart. 3). E tali rami non potevano essere spezzati che dal corpo del Pinelli durante la caduta.
Del resto, non è senza significato, che una traiettoria con punto di caduta nella zona dell’aiuola indicata, passi vicinissimaalla leggera deformazione della grondaia all’estremità del cornicione del terzo piano e sulla verticale della metà di sinistra(per chi si affaccia) della finestra dell’ufficio del comm. Calabresi.
E tale deformazione, posto che su tutta la lunghezza e profondità del cornicione non se ne sono rilevate altre, posto cheil Palumbo avvertì anche rumori paragonati a scatolone che urti contro qualcosa (ed è proprio questo il rumore che pro-voca l’urto di un solido contro la lamiera che riveste il cornicione e termina formando la grondaia) e posto che Pinelli nellaprecipitazione perse una delle scarpe che fu rinvenuta ad una certa distanza dal corpo, fu con ogni verosimiglianza dovu-ta ad impatto di una estremità del corpo in caduta.
A questo punto è appena il caso di aggiungere che le conclusioni cui è giunto questo Giudice Istruttore, non sono per nullacontrastate dalle diverse conclusioni cui sono giunti i periti ed i consulenti di parte.
Essi infatti hanno fissato il punto di caduta rispettivamente a quattro e cinque metri (ottenuti aggiungendo alla determina-zione dei periti la distanza fra il vertice del capo ed il baricentro) facendo una media matematica tra le varie distanze indi-cate dai testimoni.
Questo criterio statistico non può essere assolutamente accettato sul piano processuale.
I dati sicuri emersi dall’istruttoria e fin qui esposti consentono di passare ad un serio e consapevole esame delle varie ipo-tesi di precipitazione e di vagliarne la validità o la verosimiglianza.
1) L’ipotesi di suicidio - possibile ma non verosimile.
2) L’ipotesi di malore - verosimile.
3) L’ipotesi di lancio volontario di corpo inanimato - assoluta inconsistenza.
L’ipotesi di suicidio - possibile ma non verosimile L’ipotesi del suicidio, sostenuta sin dall’inizio ufficialmente dagli organi di Polizia, è stata ripresa con diverse argomenta-zioni dal P.G. nella sua requisitoria.
È stata invece vivacemente respinta dai patroni della parte civile in quanto essa mal si concilierebbe con la traiettoria dicaduta e perché nel Pinelli sarebbe mancata la c.d. «predestinazione» e comunque una valida spinta all’insano gesto.
V’è da dire subito che sarebbe un atto di vera presunzione da parte di chiunque tentare di ricostruire a posteriori, senzaalcuna analisi diretta e sulla sola base di testimonianze, spesso di osservatori superficiali e, comunque, nella migliore delleipotesi, influenzate dalle singolari circostanze in cui avvenne la morte della persona oggetto dell’indagine, la personalitàdi un individuo ed eventuali sue caratteropatie, ai fini della c.d. «predestinazione».
Per questa ragione questo G.I. si guarderà bene dal formulare se pur semplici ipotesi sull’esistenza di motivi non stretta- mente e direttamente legati all’episodio che possano in qualsiasi modo aver influito su un’eventuale spinta suicida ed esa-minerà soltanto da una parte, se l’ipotesi si concilii con la traiettoria di precipitazione e dall’altra se esistessero causeimmediate o prossime, idonee a scatenare un impulso suicida, in termini di possibilità e verosimiglianza.
Ciò premesso osserva, sotto il primo profilo, che l’ipotesi è possibile.
La distanza percorsa in linea orizzontale dal corpo del Pinelli infatti, come s’è detto a proposito del «punto di caduta», èraggiungibile con slancio attivo, anche se modesto. Osserva invece, sotto il secondo profilo, che l’ipotesi non appare vero-simileDall’esperita istruttoria infatti, non è emersa alcuna causa immediata o prossima, idonea a scatenare l’impulso suicida.
Tale non può considerarsi certo quella prospettata dalla Polizia secondo cui Pinelli si sarebbe suicidato perché «incastra-to » dalle prove di responsabilità nei vari attentati da esse raccolte.
A parte la considerazione che l’istruttoria condotta separatamente da questo G.I. sugli attentati del 1969 e degli atti rile-vanti della quale è stata acquisita copia in questo processo, è emerso che Pinelli era estraneo a tutti gli attentati di cui gliinquirenti fecero menzione nel corso dell’interrogatorio del 15 dicembre 1969, sarebbe veramente assurdo ritenere chealla sensazione di «sentirsi incastrato dalla Polizia» faccia seguito subito o dopo qualche ora l’impulso suicida.
Né tali possono ritenersi quelle prospettate dal P.G. Egli infatti nella sua ricostruzione o parte da presupposti erronei, qualiquello di ritenere che il falso alibi di Pinelli fosse PRECOSTITUITO e quello che Pinelli avesse elevato a suo unico edesclusivo scopo di vita, l’anarchia, o utilizza elementi assolutamente non certi, quale quello della partecipazione del Pinellia precedenti attentati commessi dagli anarchici e quello della sua implicazione in un non meglio definito traffico di esplo-sivi.
Per quanto riguarda l’alibi di Pinelli, se si può dire che era falso, è assolutamente arbitrario sostenere che era precostitui-to.
Com’è noto il Pinelli venne fermato nel tardo pomeriggio del 12 dicembre 1969.
Portato in Questura ed interrogato dal brig. Mainardi alle ore 3 del 13 dicembre, dichiarò di essere uscito di casa verso leore 14 e di essersi recato al bar tabacchi sito all’angolo tra via Morgantini e via Civitali, trattenendosi sino alle ore 17,30circa.
Si era recato quindi al Circolo anarchico «Ponte della Ghisolfa» ove si era incontrato con i compagni Ivan e Paolo Erda.
Verso le ore 18 aveva lasciato questo circolo ed aveva raggiunto con il suo motorino il Circolo anarchico di via Scaldasole.
Appena giunto era stato fermato da alcuni agenti dell’ufficio Politico.
Aveva appreso la notizia dell’esplosione alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, durante il percorso dal «Ponte dellaGhisolfa» al Circolo di via Scaldasole, allorché si era fermato per acquistare delle sigarette.
Interrogato di nuovo il giorno 14 successivo dal commissario Pagnozzi, precisò che dalle ore 14 alle ore 14,30 si era sof-fermato sull’ingresso del bar a chiacchierare con persona che conosceva solo di vista. Dalle 14,30 alle 17,25 circa, si eratrattenuto all’interno del bar a giocare a carte con due pensionati, assidui frequentatori del bar, dei quali non ricordava inomi. Uno di questi però camminava con il bastone ed aveva una delle mani priva della falange del mignolo.
Era andato quindi, come già riferito, al Circolo «Ponte della Ghisolfa» e di qui al Circolo di via Scaldasole, ove era giuntoverso le ore 18,40.
L’alibi fu confermato dal pensionato mancante della falange del mignolo identificato nel Magni Mario (sentito la mattina del15-12-1969) ma non dal gestore del bar Gaviorno Pietro, sentito la sera dei 14 dicembre, il quale affermò invece che ilPinelli, verso le ore 14, aveva preso un caffè insieme ad uno sconosciuto e con questo si era allontanato dal bar subitodopo.
Nel corso della successiva istruttoria, confermarono l’alibi Pozzi Mario, il pensionato indicato dal Magni come la personache già stava giocando con il Pinellì quando egli, intorno alle 16 giunse nel bar, Palombino Luigi e Stracchi Mario i qualidichiararono di ricordare benissimo di aver notato al tavolo a fianco a loro «barbetta il Ferroviere» che giocava a carte conMagni Mario ed altro pensionato a nome Mario (il Pozzi).
Il Gaviorno invece confermò la versione data alla Polizia e così suo figlio Mario.
Per questa ragione e poiché l’ora in cui, a dire dei testi che avevano confermato l’abbi, Pinelli aveva lasciato il bar (17,30circa) non era compatibile con l’ora in cui, secondo i testi Guarnieri Ivano e Bartoli Ester, il Pinelli medesimo era giunto al«Ponte della Ghisolfa» (17-17,10) specie se si teneva conto che il Pinelli tra il momento in cui era uscito dal bar ed ilmomento in cui era giunto al «Ponte della Ghisolfa» era passato dalla Stazione di Porta Garibaldi a ritirare la tredicesimamensilità (la tredicesima, che il Pinelli aveva con sé al momento del fermo, era stata messa in pagamento alle ore 8 delmattino del 12 dicembre 1969, due ore circa cioè dopo che 2 Pinelli, quella stessa mattina, era rientrato a casa, comedichiarato dalla moglie) questo Giudice Istruttore ritenne opportuno approfondire le indagini al fine di trovare un riscontroobbiettivo che indicasse quale delle due versioni, quella dei Gaviorno o quella di coloro che avevano confermato l’alibi,rispondesse a verità.
Vennero perciò identificati e sentiti gli altri due giocatori del tavolo di Palombino e Stracchi, l’appuntato di P.S. Di GiorgioCarmine e l’insegnante di musica Santagostino Savino.
Vennero anche sentiti di nuovo il Magni ed il Pozzi per accertare se essi ricordassero la presenza del Palombino e deisuoi compagni di tavolo. Il Magni affermò di ricordare con assoluta certezza che in attesa che il Pinelli ed il Pozzi finisse-ro la partita e prima quindi di sedersi a giocare con loro, aveva ingannato il tempo seguendo la partita a scopa che al tavo-lo vicino stavano giocando Stracchi, Palombino, Di Giorgio e Santagostino.
Il Pozzi dal canto suo dichiarò di essere certo di una sola cosa e cioè di essere andato via verso le ore 17, non più tardicomunque delle 17,30.
Ora, tutti i componenti del tavolo del Palombino hanno ricordato con assoluta sicurezza che iniziarono a giocare solo quan-do giunse nel bar Savino Santagostino.
La circostanza singolare che quest’ultimo il giorno 12 dicembre 1969 avesse terminato la sua lezione di musica presso lascuola elementare di via Forze Armate alle ore 16,30 e che, sempre prima di andare al bar a giocare a carte, passasse da casa (via Matteo Civitale nr. 23) ha consentito di stabilire con certezza che la partita tra lo Stracchi, il Palombino, il DiGiorgio ed il Santagostino, ebbe inizio intorno alle 17Ciò, posto che Pinelli, Magni e Pozzi iniziarono a giocare certamente dopo di loro, porta inevitabilmente a concludere chele due partite si svolsero in altro giorno, probabilmente giovedì 11 dicembre 1969.
Ne sono riprova il fatto che Gaviorno Mario dichiarò di aver notato Pinelli giocare a carte nel bar nei giorni immediatamenteprecedenti ed il fatto che effettivamente Pinelli, nel pomeriggio del 12 dicembre 1969 alle ore 14,30 circa, si recò al bar aprendere un caffè insieme ad Antonio Sottosanti, persona che il Gaviorno vedeva per la prima volta.
Il Gaviorno Pietro, sentito appena due giorni dopo, ricordò perfettamente questa circostanza e se essa risponde comerisponde al vero (è stata confermata e dalla vedova Pinelli e dal Sottosanti), non si vede perché non dovrebbe risponde-re al vero anche l’altra circostanza contestualmente riferita, che il Pinelli ed il Sottosanti si allontanarono dal bar subitodopo aver preso il caffè.
Ne è riprova il fatto che l’appuntato Carmine Di Giorgio abbia insistito nell’affermare, di essere quasi certo che quel gior-no egli non aveva giocato.
Del resto non è senza significato, ai fini dell’errore sul giorno della partita, che Pozzi, Palombino e Stracchi fossero pre-senti allorché il Magni fu intervistato da giornalisti. La suggestione che ne potette derivare è evidente.
Quanto detto però non significa assolutamente che Pinelli si fosse precostituito un alibi, così come sostenuto dal P.G. Alcontrario, tutto fa ritenere che egli fu costretto ad improvvisare una menzogna.
Il Sottosanti, figura politicamente equivoca, già custode della sede di «Nuova Repubblica», amico di estremisti di destra,fanatico ammiratore di Mussolini, si era improvvisamente offerto di fornire un alibi a Tito Pulsinelli in relazione all’accusaa lui mossa di essere l’autore materiale dell’attentato perpetrato ai danni della Caserma di P.S. «Garibaldi» alle ore 23,05del 19-11-1969.
A tal uopo si era messo in contatto con i familiari del Pulsinelli ed aveva ottenuto da questi ospitalità e rimborso del viag-gio.
Non appena deposto dinanzi al G.I., però, aveva preso anche contatto con il Pinelli (designato a tenere i fondi della «CroceNera» ed a seguire lo svolgimento dell’istruttoria) il giorno 6-12-1969, ed alla presenza del fratello di Pulsinelli, gli avevariferito nei particolari la deposizione resa al Consigliere Istruttore Amati.
Era stato quindi invitato dal Pinelli a pranzo per il giorno 12 dicembre 1969.
Si era puntualmente presentato e Pinelli gli aveva anche consegnato un assegno di L. 15.000= a titolo di contributo per ilrimborso delle spese sostenute, traendolo sul c/c nr. 202912 aperto presso l’Agenzia n. 11 della Banca del Monte diMilano, c/c sul quale erano stati versati i fondi della «Croce Nera».
Dopo il pranzo, intorno alle ore 14, il Pinelli ed il Sottosanti erano usciti di casa insieme (vedi dep. vedova Pinelli del 3-12-1971) e si erano recati al bar di via Morgantini ove avevano consumato un caffè (vedi dep. Sottosanti del 15-4-1970) edancora insieme si erano allontanati dal bar (v. dep. Gaviorno Pietro del 14 e 17 dic. 1969).
Cosa i due fecero successivamente non è stato possibile stabilire con certezza per l’assoluta reticenza del Sottosanti,preoccupato e spaventato più per le insinuazioni che, da più parti, erano state avanzate nei suoi confronti, di provocato-re avente il compito di « incastrare » gli anarchici ed addirittura di autore materiale dell’attentato alla Banca Nazionaledell’Agricoltura, che del rischio di finire in carcere per falsa testimonianza.
Posto però che il Pinelli, allorché uscì di casa, prese il motorino, cosa che non avrebbe fatto se la sua intenzione fossestata quella di trattenersi presso il vicino bar a giocare a carte, appare molto verosimile che egli abbia accompagnato ilSottosanti prima in via Pisanello a riscuotere l’assegno presso la Banca dei Monte di Milano e quindi in un punto della cittàove questo potesse prendere un mezzo pubblico diretto a Pero, paese in cui era la casa dei Pulsinelli, dei quali il Sottosantiera ospite.
Ne sono conferma da una parte, la circostanza che Sottosanti giunse a casa dei Pulsinelli alle ore 16,30 (v. dep. LucioPulsinelli) e dall’altra che Pinelli, essendosi recato a riscuotere la tredicesima mensilità presso la Stazione di PortaGaribaldi, giunse al «Ponte della Ghisolfa» alle ore 17Tanto premesso e pacifico che Pinelli, in quel periodo, stava collaborando intensamente con i difensori per dimostrare l’in-nocenza dei compagni anarchici detenuti a San Vittore per una serie di attentati terroristici, appare evidente come egliavesse tutto l’interesse a tacere il proprio incontro con Nino Sottosanti. Se si voleva infatti che la deposizione di questiavesse un peso rilevante nell’istruttoria, occorreva che rimanesse un teste assolutamente estraneo agli ambienti anarchi-ci, disinteressato e pertanto attendibile. Non è senza significato a tale proposito, che, sia i compagni sia i familiari, si atten-devano, dopo la deposizione del Sottosanti, che Tito Pulsinelli venisse posto in libertà provvisoria da un momento all’al-tro.
Per tale interesse, per proteggere il compagno Tito Pulsinelli, Pinelli allorché alle 3 del 13 dicembre fu interrogato dal brig.
Mainardi, non esitò a mentire.
Fra i vari alibi che poteva dare gli sembrò il migliore quello della partita a carte.
Il Magni ed il Pozzi erano i frequentatori abituali del bar e probabilmente, se non proprio certamente, una volta identifica-ti ed interrogati dalla Polizia difficilmente, a distanza di tempo, avrebbero potuto smentirlo, posto che più volte neigiorni immediatamente precedenti al venerdì avevano giocato con lui.
I rischi che correva erano certamente limitati. Se il Magni ed il Pozzi l’avessero smentito, se fosse stato incriminato per lastrage, avrebbe detto la verità.
Da un lato nessuno avrebbe potuto rimproverargli di aver così danneggiato il compagno Pulsinelli, posto che la sua ímpu-tazione era molto più grave; dall’altro che egli fosse stato con Sottosanti ed a riscuotere la tredicesima era confortato daprove documentali incontrovertibili, quali l’assegno bancario ed il registro delle Ferrovie dello Stato.
Del resto, anche a voler lasciare da parte la circostanza già accennata che né nella prima né nella seconda istruttoria sugliattentati del 12 dicembre 1969 sono emersi se pur solo motivi di sospetto di responsabilità del Pinelli (è ovvio che chi siprecostituisce un alibi ha in qualche modo partecipato al delitto), se cosi non fosse, se Pinelli non fosse stato costretto ad improvvisare, se avesse precostituito un alibi, non si capisce perché nell’alibi non avrebbe ricompreso anche la riscossio-ne della tredicesima mensilità o perché sarebbe andato a riscuoterla.
L’alibi falso quindi non poteva costituire causa né motivo scatenante di impulso suicida.
Né tale può essere ritenuto il fatto che Pinelli ritenesse finito il movimento anarchico.
A parte la considerazione già fatta che sarebbe stato atto di presunzione dire a posteriori che Pinelli aveva fatto del movi-mento anarchico l’unica sua ragione di vita, la contestazione «Valpreda ha detto tutto » fu fatta, com’è ormai pacifico, all’i-nizio dell’interrogatorio intorno alle ore 19,30. Non solo, ma la reazione del Pinelli non si limitò all’espressione «E la finedei movimento anarchico» ma comprese anche l’espressione «Se è stato lui non doveva farlo* (vedi dep. del 16-12-1969di Caracuta Giuseppe, sottufficiale presente in tutte le fasi dell’ultimo interrogatorio di Pinelli) e del fatto che egli non credette ciecamente all’affermazione del commissario Calabresi e del f atto che la sua considera-zione in ordine alla fine del movimento anarchico fu condizionata.
Se comunque Pinelli avesse avuto dei dubbi sull’affermazione del commissario, questi dubbi si dissiparono certamentenell’ulteriore corso dell’interrogatorio.
Non solo infatti i poliziotti fecero altre affermazioni gratuite quali quella del doti. Allegra « ti darò la prova che tu hai messola bomba all’Ufficio Cambi» (sul treno l’8-8-69 secondo la versione Lograno)- attentati cui il Pinelli, com’è emerso dall’i-struttoria sugli attentati del 1969, era certamente estraneo - ma fecero di tutto per ottenere da lui elementi di prova controValpreda, cosa che non avrebbero certamente fatto se questi avesse confessato.
Né motivo di suicidio può essere considerato lo scrupolo di coscienza che sarebbe nato nel Pinelli per il dubbio che partedell’esplosivo da lui consegnato a compagni di fede per l’inoltro alla resistenza greca, fosse finito nella bomba esplosa il12 dicembre.
Di tale traffico di esplosivo, cui avrebbe partecipato il Pinelli infatti, non si trova traccia che in una confidenza che sareb-be stata fatta alla Polizia (vedi rapp. 13-1-1970 - 29-4-70 - cart. 9, vol- XI fg- 39 e cart. 2, vol. III fg. 12) ed in un appuntoritrovato nel covo delle «Brigate Rosse» di Robbiano di Mediglia.
A prescindere dalle perplessità che suscita questa collaterale attività d’inchiesta delle « Brigate Rosse », v’è da dire cheanche il documento delle B.R. trova origine in una affermazione fatta da un brig. di P.s. che evidentemente aveva orec-chiato la notizia in Questura (tant’è vero che parla non di esplosivo destinato alla resistenza greca ma di esplosivo desti-nato ad attentati dimostrativi a monumenti della Resistenza) e sostanzialmente quindi nella stessa confidenza.
Ora non solo la Polizia, pur avendone tutto l’interesse non ha mai rivelato l’identità del confidente, ma non è riuscita nep-pure a concretizzare alcun elemento di prova con le indagini che in ordine alla confidenza furono certamente f atte.
Che ciò sia avvenuto perché, come sostiene il P.G. (vedi req. p. 68), «l'intervenuta morte di Pinelli, poteva far apparire inu-tili accertamenti diretti su di lui » è smentito da considerazioni di ordine logico e dai fatti.
Non solo infatti la Polizia, specie dopo che la vedova Pinelli aveva querelato il Questore Marcello Guida per diffamazioneaggravata (denuncia-querela presentata alla Procura della Repubblica di Milano il 27-12-1969) rinvenire prova della colpevolezza del Pinelli, ma in concreto anche dopo la morte ricercò tali prove.
Ne sono riprova i rapporti nn. 035810/U.P. del 27-12-69, 035810/U.P dei 22-1-70, 035810/U.P del 10-3-7o e la relazionedi servizio dell’8-4-70 del brig. Trotta Domenico, secondo cui il Sottosanti, al momento della consegna della citazione deldott. Caizzi gli avrebbe riferito addirittura che l’assegno del 12-12-69 il Pinelli glielo avrebbe consegnato quale rimborsodella spesa da lui sostenuta per l’acquisto di una cassetta metallica (evidentemente quella poi utilizzata per confezionarela bomba della B.N.A.) fatto per suo conto.(1)(1) il brig. Trotta, come emerge dal confronto esperito dal G.I. Udillo (v. fg. 75 vol.- XIV, cart. 9) incorse in equivoco in quan-to il sottosanti accennò alla cassettina di cui all’articolo a firma «Zicari» pubblicato dal «Corriere della Sera» e parIò del-l’assegno non in relazione alla cassettina, ma in relazione alla circostanza che al cassiere aveva fatto notare che abitavain luogo diverso da quello indicato sulla carta di identità per avere cambiato abitazione. Del resto non ci pare senza significato il fatto che la precipitazione avvenne terminato l’interrogatorio e mentre il commis-sario Calabresi stava sottoponendo al dott. Allegra nell’ufficio di questi, il relativo verbale, in un’atmosfera definita da tuttidistesa.
In mancanza di qualsiasi causa prossima scatenante di impulso suicida è veramente difficile immaginare che Pinelli potes-se decidere di porre in atto un gesto così grave, senza attendere A verdetto sulla sua sorte e quando dopo pochi minutiavrebbe potuto essere rilasciato.
Non era assolutamente da escludersi infatti che il commissario Calabresi rientrato nella stanza avrebbe potuto ordìnare ilsuo rilascio.
Perché allora non attendere quei pochi minuti, posto che nulla sarebbe cambiato ai fini della possibilità di porre in esserel’insano gesto? L’ipotesi di malore - verosimile L’ipotesi del malore è stata esclusa, sul piano tecnicoscientifico, e sul piano processuale.
Sul piano tecnico-scientifico sia per i periti che per i consulenti di parte, esso mal si concilierebbe con la proiezione oriz-zontale del corpo del Pinelli che, secondo le conclusioni dei periti avrebbe raggiunto 4 metri dalla perpendicolare del bal-cone e secondo le conclusioni dei consulenti tecnici avrebbe raggiunto addirittura 5 metri dalla perpendicolare stessa.
Sul piano processuale, perché tutte le persone presenti nella stanza sostennero che Pinelli spiccò un vero e proprio saltolanciandosi nel vuoto oltre la ringhiera.
Ora, per quanto riguarda l’aspetto tecnico-scientifico, sia i periti che i consulenti tecnici nell’esaminare le risultanze degliesperimenti compiuti, al fine di trarne argomenti per accreditare od escludere l’una o l’altra ipotesi di precipitazione, sonopartiti da un presupposto che, come s’è detto a pagina 47-50, è erroneo ed ha falsato tanto le argomentazioni quanto le conclusioni.
Aggiungeremo quindi solamente che dagli esperimenti eseguiti con il manichino, e precisamente dal primo lancio, è emer-so che la proiezione orizzontale della precipitazione raggiunta dal corpo dei Pinelli è facilmente raggiungibile con la solaforza viva conseguente alla rotazione del baricentro intorno alla parte superiore della ringhiera.
Il manichino infatti tenuto sollevato e con i piedi a terra, a mezzo di una corda passata in un bozzello collocato a 30 cm.
circa oltre la ringhiera, lasciato di colpo, non solo non toccò il cornicione del piano inferiore, ma ebbe una proiezione oriz-zontale di circa 3 metri.
Per quanto riguarda l’aspetto processuale osserva preliminarmente che dall’istruttoria è emerso che esistevano al momen-to del fatto per il Pinelli condizioni favorevoli per un malore.
Egli, dalle 18,30 del 12 dicembre sino a pochi minuti prima delle 24 dei 15 dicembre, fu sottoposto ad una serie di stress,non consumò pasti regolari e dormì solo poche ore, una sola volta steso in una branda.
Pinelli infatti fermato intorno alle 18,30 fu collocato in un salone del quarto piano dell’Ufficio Politico ove via via venneroaccompagnati e lasciati i numerosi fermati, subì certamente l’emozione derivante dall’apprendere i particolari e l’effera-tezza degli attentati e dal constatare che, ancora una volta, la Polizia concentrava quasi tutta la sua attenzione sui grup-pi di sinistra ed in particolare sugli anarchici.
Alle 3 dei mattino fu sottoposto al primo interrogatorio e sopportò lo stress non indifferente di dover operare la scelta frail dire la verità e compromettere la speranza di libertà del compagno Pulsinelli già detenuto da diversi mesi e l’inventareun alibi che in seguito avrebbe potuto, per l’accertata falsità, rivolgersi contro di lui come prova d’accusa.
Rimase ancora nello stesso stanzone senza possibilità di stendersi e di beneficiare di un sonno ristoratore sino alle 23,30del 13 dicembre, ora in cui venne accompagnato nelle camere di sicurezza della Questura.
La mattina del 14 fu ricondotto nel salone dell’Ufficio Politico e subì lo stress dell’attesa di un nuovo interrogatorio.
Finalmente dopo le 20,40 e cioè dopo che il Gaviorno Pietro rese la sua deposizione (dal relativo verbale risulta che essafu resa alla ore 20,30 del 14 dicembre 1969) subì ancora lo stress di un nuovo interrogatorio. Il fatto che questa volta achiedergli dell’alibi fosse un esperto funzionario anziché un sottufficiale e che gli facessero sottoscrivere il verbale dovet-te fargli capire se non proprio dargli la certezza, posto che la sera precedente era ufficialmente entrato nelle camere disicurezza, che qualcosa nella vicenda dell’alibi non doveva essere andato secondo le sue previsioni.
Subì quindi ancora lo stress dell’attesa di un nuovo interrogatorio che, questa volta, la sua esperienza doveva suggerirglinon sarebbe stato solo diretto ad ottenere da lui elementi di prova contro il « sanguinario » Valpreda, ma anche a farglifare ammissioni che lo compromettessero.
Il fatto che venissero man mano rilasciati tutti i compagni anarchici fermati dopo di lui, non dovette poi certo tranquilliz-zarlo.
Alle ore 19 del 15 dicembre, senza che avesse potuto beneficiare di un sonno ristoratore in un letto, fu chiamato di nuovoper l’interrogatorio.
«Valpreda ha confessato» esordì il commissario Calabresi. Era vero o era il solito «saltafosso» della Polizia?Il dubbio dovette, quanto meno, sfiorargli la mente, se è vero che disse al Valitutti: « Se è stato un compagno lo uccidocon le mie mani ».
Ma non poteva concedersi il lusso di pensarci sopra; l’interrogatorio proseguiva e doveva prestare la massima attenzionealle domande che gli venivano rivolte; doveva ben meditare le risposte che andava dando per evitare di cadere in con-traddizione e prestare così il fianco al gioco degli inquirenti.
La mancanza di sonno, di un’alimentazione adeguata (non aveva cenato ed i pasti da quando era in Questura erano costi-tuiti da panini ripieni), le numerosissime sigarette fumate, dettero il loro contributo allo stato di stanchezza che ne derivò.
«Ogni tanto palesava momenti di assenza» (cart. 1, VOL. III p. 8 retro). « Il verbale fu rifatto tre o quattro volte in quantoa Pinelli non ricordava» affermava il commissario Calabresi all’udienza del 14-10-1970; «pur sembrandomi disteso Pinellicontinuava a lamentare amnesie » dichiara ancora il ten. Lograno; «mi toccò più volte di strappare e di ripetere il verbaledato che 9 Pinelli patì varie amnesie. così che a causa di queste continue amnesie l’interrogatorio si protrasse sino attor-no alle ore 24» dichiara infine il brig. Caracuta all’udienza del 28-10-70- Questo si legge nei verbali di udienza della ISezione del Tribunale, a proposito delle condizioni fisiche del Pinelli nell’ultima fase dell’interrogatorio. E che in questafase le condizioni del Pinelli fossero di estrema stanchezza, per le ragioni che abbiamo esposto, non pare vi sia motivo didubitare.
Ciò posto è opportuno precisare che nel termine malore ricomprendiamo non solo il collasso che, com’è noto, si manife-sta con la lipotimia, risoluzione del tono muscolare e piegamento degli arti inferiori, ma anche l’alterazione dei «centro diequilibrio» cui non segue perdita del tono muscolare e cui spesso si accompagnano movimenti attivi e scoordinati (c.d.
atti di difesa).
È opportuno precisare pure che in medicina è pacifico che alterazioni dei centro di equilibrio possono essere provocati daintossicazioni acute da fumo (e Pinelli aveva fumato moltissimo), da stati ansiosi e stressanti (e Pinelli aveva passato tregiorni di seguito in stato di stress), da surmenage (e Pinellì non si era pressoché riposato per tre giorni e si era mal nutri-to).
Se appare quindi poco verosimile l’ipotesi di precipitazione per collasso in quanto, come si è già detto, il corpo si sareb-be afflosciato e sarebbe scivolato o lungo la parte interna o lungo la parte esterna della ringhiera urtando, verosimilmen-te e deformando il cornicione del piano inferiore, appare verosimile invece l’ipotesi di precipitazione per improvvisa alte-razione del centro di equilibrio.
L’interrogatorio è terminato e nulla è emerso contro Pinelli, ma lo stato di tensione per lui non si allenta.
Il commissario Calabresi si è allontanato senza dire una parola. Cosa deciderà di lui il dott. Allegra? Finirà a San Vittorecon l’infamante marchio di complice di uno dei più efferati delitti della storia d’Italia o tornerà finalmente libero a casa?Pinelli accende la sigaretta che gli offre Mainardi. L’aria della stanza è greve, insopportabile. Apre il balcone, si avvicinaalla ringhiera per respirare una boccata d’aria fresca, una improvvisa vertigine, un atto di difesa in direzione sbagliata, il corpo ruota sulla ringhiera e precipita nel vuoto.
Tutti gli elementi raccolti depongono per questa ipotesi.
La mancanza di qualsiasi indizio e di qualsiasi motivo di sospetto per l’omicidio volontario.
L’assenza di una qualsiasi causa scatenante l’impulso suicida.
L’assenza comprovata di una rincorsa per superare l’ostacolo.
Il brevissimo lasso di tempo fra il rumore dell’anta ed il grido di Mainardi da una parte ed il momento della precipitazioneoltre la ringhiera dall’altra.
La presenza di fattori alteranti del centro di equilibrio.
La traiettoria molto prossima a quella derivante dalla sola forza viva della rotazione del corpo intorno alla ringhiera.
La sigaretta che precipita insieme al corpo.
Solo per completezza, aggiungeremo che le osservazioni contenute nel «parere pro veritate» si riferiscono all’ipotesi dimalore con lipotimia e conseguente perdita del tono muscolare. Esse partono inoltre dai seguenti erronei presupposti:1) fissano l’altezza della ringhiera dal pavimento in cm. 97 anziché in cm. 92;2) non aggiungono all’altezza del Pinelli i cm. 3, che costituiscono il minimo d’altezza di una suola di scarpe, scarpe che Pinelli calzava al momento della precipitazione; 3) ritengono che l’esperimento di cui si è parlato a p. 61, fu eseguito tenendo il manichino sollevato, e non di poco, dal suolo. Il manichino venne tenuto invece con i piedi appoggiati al pavimento, come si desume chiaramente dal verbaledi esperimento giudiziale in cui è scritto che la prima prova viene fatta «al fine di riprodurre, per quanto possibile, lemodalità di caduta per malore di persona che perde i sensi mentre è affacciata» (v. fg. 238 retro vol. XIII in cart. 9). Èchiaro infatti che una persona affacciata ha i piedi per terra. Non solo, ma quando è stato necessario, perché non sipoteva desumere o presumere, come nella seconda prova, l’Ufficio ha esplicitamente detto che i piedi non toccavanoil pavimento.
Ora, pacifico che il baricentro di una persona avente le caratteristiche fisiche del Pinelli, va fissato 55 cm. più in basso delvertice del capo, è evidente che esso baricentro, nella fattispecie, superava di almeno 23 cm. il limite della ringhiera (v. atale proposito foto nr. 19 in cart. 3, vol. VII - fasc. n. 4).
Ben poteva quindi la sola spinta impressa dal movimento istintivo di difesa portare il baricentro di cm. 30 oltre la ringhie-ra (così come venne portato nella prima prova eseguita con il manichino)e far percorrere al corpo nella precipitazione circamt. 2,70 in linea orizzontale (distanza che il manichino nella prima prova raggiunse).
L’ipotesi di lancio volontario di corpo inanimato - assoluta inconsistenza I Consulenti di parte, esaminate le risultanze degli esperimenti eseguiti con manichino riproducente le stesse caratteristi-che fisiche del Pinelli nei luoghi in cui si verificarono i fatti e con tuffatore sul bordo di una piscina ove era stata ricostrui-ta finestra-balcone delle stesse dimensioni di quella dell’ufficio del commissario Calabresi, hanno vivacemente sostenutoche la traiettoria percorsa dal corpo di Pinelli nella caduta corrisponde a quella che avrebbe percorso un corpo inanimatolanciato da quattro persone.
Questa tesi già inverosimile per la mancanza di un qualsiasi movente da parte degli Ufficiali di P.G. presenti nella stanzadel comm. Calabresi al momento della precipitazione (vedi quanto detto prima a proposito del segno di agopuntura, del-l’orario di chiamata dell’ambulanza, del colpo di karatè e delle versioni contraddittorie degli Ufficiali di P.G. presenti nellastanza), appare priva di qualsiasi fondamento alla luce delle risultanze degli accertamenti svolti sul «punto di caduta» delcorpo di Pinellì.
Tutte le argomentazioni svolte dai Consulenti di parte e dei vari docenti di fisica, matematica, meccanica e geometria supe-riore che hanno firmato il « parere pro veritate» depositato in cancelleria il 21-10-1975 infatti, partono dal presupposto cheil corpo di Pinelli percorse in linea orizzontale oltre quattro metri dalla verticale della finestra dell’ufficio del comm.
Calabresi.
Tale distanza, mentre poteva essere tranquillamente raggiunta e superata con una spinta impressa contemporaneamen-te da quattro persone a corpo inanimato, non poteva essere assolutamente raggiunta, senza rincorsa, che nella specienon vi fu, da persona vestita, delle stesse caratteristiche fisiche del Pinelli.
Ora, come s’è visto nel paragrafo precedente, il corpo del Pinelli percorse in linea orizzontale non più di tre metri. La proie-zione all’impatto era di circa Mt. 2,60 che, anche a voler aggiungere i mt. 0,55 dal baricentro (cosa non esatta in quantoil corpo rimase in posizione pressoché parallela alla parete prospicente) giungerebbe poco più oltre i tre metri.
Tale distanza, per unanime parere dei periti e degli stessi consulenti tecnici, è facilmente raggiungibile con slancio attivo,anche se modesto.
Né fondata appare l’ipotesi di due o più persone che trascinano il corpo inanimato, l’appoggiano sulla ringhiera e solle-vandolo per le gambe con movimento rotatorio, lo fanno precipitare oltre la ringhiera, nel vuoto.
In tale ipotesi infatti, poiché il baricentro sarebbe venuto a trovarsi in posizione adiacente alla parte esterna della ringhie-ra, l’apice dei corpo avrebbe urtato con estrema violenza il cornicione quattro metri più sotto, sporgente di ben 80 centi-metri dal filo della ringhiera stessa.
Avrebbero dovuto riscontrarsi di conseguenza, da una parte una notevole deformazione del rivestimento in lamiera delcornicione (simile se non pari a quella lasciata dal manichino durante gli esperimenti) e dall’altra notevoli lesioni al capodel Pinelli; deformazione e lesioni che invece non sussistevano dopo i fatti.
Le considerazioni sin qui svolte impongono il proscioglimento degli imputati Lograno Savino, Panessa Vito, CaracutaGiuseppe, Mainardi Carlo e Mucilli Pietro, dalla imputazione loro ascritta al capo A), perché il fatto non sussiste.
Dall’esperita istruttoria infatti, da una parte si sono rivelati privi di qualsiasi consistenza gli indizi ed i motivi di sospettoelencati nella denuncia e, dall’altra, nessun altro indizio, nessun altro motivo di sospetto è emerso.
E, è appena il caso di aggiungerlo, la mancanza assoluta di prove che un fatto è avvenuto equivale, nel nostro sistemaprocessuale, come in quello degli altri Stati più progrediti, alla prova che un fatto non è avvenuto.
L’imputazione di omicidio colposo Come si è detto a pagina 25, il 15 settembre 1971 il Procuratore Generale richiese di procedere nei confronti del dott. LuigiCalabresi per il delitto di omicidio colposo di cui al capo D) della rubrica.
Tale imputazione veniva mossa sul presupposto che Pinelli si fosse suicidato perché a seguito delle domande «ad effet-to » rivoltegli dal Calabresi si era convinto che la Polizia era a conoscenza di gravi elementi in ordine a sue responsabi-lità per la strage del 12 dicembre 1969 o per precedenti attentati o comunque in ordine a responsabilità degli anarchici inrelazione alla strage stessa.
Al commissario Calabresi si addebitava la colpa consistente nell’aver omesso, ad interrogatorio ultimato, di impartire leopportune disposizioni per la vigilanza e la custodia del fermato, in particolare di disporre che lo stesso venisse adegua-tamente custodito in un locale interno dell’edificio a tal uopo adibito o, quanto meno, che venisse strettamente sorveglia-to a vista da personale specificatamente incaricato.
Prima di passare all’esame delle imputazioni va subito detto che l’esperita istruttoria lascia tranquillamente ritenere che ilcommissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della precipitazione.
Tutti i testimoni presenti al quarto piano dell’Ufficio Politico sono stati concordi su tale punto, ad eccezione dell’anarchicoValitutti, che si trovava nel salone dei fermati.
Egli infatti escluse, in maniera categorica, di aver visto passare, negli ultimi quindici minuti precedenti la precipitazione ilcommissario Calabresi attraverso il breve tratto di corridoio che una finestra aperta nella parete del salone dei fermati gliconsentiva di vedere, tratto che il commissario Calabresi avrebbe dovuto necessariamente percorrere dal suo ufficio perraggiungere l’ufficio dei dott. Allegra.
Ora, a prescindere da ogni considerazione sull’attendibilità dell’una o delle altre testimonianze, va detto che, nell’econo-mia della versione ufficiale del suicidio data dalla Polizia e di cui si è detto prima, calzava molto meglio, ai fini del rappor-to di casualità fra la contestazione ed il gesto disperato del colpevole, la figura del commissario Calabresi presente nellastanza.
Se Calabresi fosse stato presente non si riesce a vedere quindi perché, ufficialmente, si sarebbe dovuto dire che egli nonc’era, con tutti i notevoli rischi derivanti dal probabile crollo della menzogna (se non altro per la presenza di varie perso-ne appartenenti a diverso Corpo di Polizia).
D’altra parte è veramente difficile sostenere e ritenere che il Valitutti, pur ammettendo che la sua attenzione fosse statadestata dai sospetti rumori sentiti (rumori che in mancanza di prova diversa devono attribuirsi, data l’ora di collocazione,alla reazione motoria, che normalmente segue al termine di uno stato di attenzione e tensione, delle numerose personepresenti nella stanza al momento in cui il dott. Calabresi terminò di dettare il verbale) dopo un quarto d’ora, non possaessersi distratto neppure per quelle poche frazioni di secondo occorrenti al commissario Calabresi per attraversare il brevetratto di corridoio che la finestra nel salone dei fermati consentiva di vedere.
Ciò premesso osserva che il commissario Calabresi va prosciolto perché il fatto non costituisce reato.
Dall’esperita istruttoria è emerso infatti:1) che le cosiddette contestazioni ad effetto non crearono e non potevano creare nel Pinelli il convincimento che la Polizia

Source: http://www.reti-invisibili.net/giuseppepinelli/docs/4-2635_sentenza_pinelli.pdf

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