Il Salotto Buono va in soffitta. Chi saranno i nuovi padroni?
Il capitalismo famigliare vecchio stile e` al tramonto.
La crisi economica potrebbe dargli il colpo di grazia.
Come in un film, tre episodi in tre scene diverse illustrano la deca-denza del capitalismo famigliare italiano e la sua possibile rinascita. Espiegano le ragioni di questa inchiesta su fatti e misfatti della nuovagenerazione di padroni. Soprattutto misfatti.
Scena prima. Portofino, 30 aprile 2007. E` una mattina di sole. Marco Tronchetti Provera, 60 anni, completo blu da regata griffatoKauris III, siede sulla terrazza dello Splendido di Portofino sorseg-giando acqua minerale. Rilascia un’intervista a Teodoro Chiarellidella Stampa dalla quale emerge la sua rabbia per esser stato sconfitto. Con la cessione della quota di controllo di Telecom Italia, il presi-dente di Pirelli ha appena firmato la fine del suo disegno egemonicosul sistema industrial-finanziario italiano. Un disegno che avrebbedovuto rinverdire l’epopea di potere, charme e glamour dell’avvocatoGianni Agnelli.
Mettendosi a capo di una delle maggiori aziende private del Pae-
se, crocevia di grandi giochi di potere, Marco Tronchetti Provera vo-leva infatti diventare il punto di riferimento del nuovo capitalismoitaliano.
E, soprattutto, voleva perpetuare il sistema di gestione delle azien-
de e del potere tipico del Salotto Buono, che attraverso le reti di re-lazioni e strumenti come le piramidi societarie e i patti di sindacatopermette a « imprenditori » che magari possiedono una parte minimadel capitale (lo stesso Tronchetti governava Telecom con l’1,1%) digestire le aziende rischiando assai poco.
Grazie a quel sistema, Marco Tronchetti Provera ancora oggi ha il
controllo di fatto di Pirelli pur possedendo poco meno del 10% del
capitale. Un pacchetto che ai prezzi di Borsa del giugno 2008 ha unvalore pari a un decimo di quello (il 71%) con cui un imprenditorecome Mario Moretti Polegato controlla, di diritto e di fatto, Geox,l’azienda calzaturiera che ha fondato.
Tra gli anni Cinquanta e Ottanta, il Salotto Buono era un parter-
re che alle origini ruotava attorno a due poli: Gianni Agnelli e tutta lagalassia di partecipazioni della sua dinastia; la Mediobanca di EnricoCuccia e tutta la rete di banche e aziende private collegate.
Con la sola eccezione dell’astro nascente Silvio Berlusconi, il Sa-
lotto Buono governava tutta l’economia privata e buona parte diquella pubblica. All’epoca dire « economia privata » era sinonimodi « capitalismo famigliare ».
Ma torniamo all’aprile 2007. Su quella terrazza di Portofino le am-
bizioni di Tronchetti tramontano; Telecom Italia si trova ad affronta-re un futuro incerto e potrebbe facilmente finire nelle mani degli spa-gnoli di Telefonica; Pirelli nel 2006 ha riportato una perdita di 1,2miliardi di euro rispetto a un fatturato di 4,8 ed e` ormai dimezzata,visto che la parte a maggior valore aggiunto economico e tecnologico,i cavi, e` stata venduta nel novembre 2005 per 1,3 miliardi di euro aGoldman Sachs Capital Partners che l’ha ribattezzata Prysmian. Unanno e mezzo piu` tardi, Goldman Sachs e` riuscita a quotare in BorsaPrysmian per un prezzo fra i 2,6 e i 2,9 miliardi di euro. Chi ha fattol’affare (un miliardo e mezzo di plusvalenza nel giro di poco) e` moltochiaro, e non e` Pirelli. Cui sono rimasti gli pneumatici, ormai semprepiu` una commodity, e gli immobili di Pirelli Real Estate.
Nel suo amaro sfogo con Teodoro Chiarelli, Marco Tronchetti
Provera da` la colpa alla politica. « Mi hanno fatto pagare la mia auto-nomia. Ma io voglio continuare a fare l’imprenditore e a battermi perl’autonomia degli imprenditori dalla politica. Della politica ho rispet-to, ma dalla politica pretendo rispetto. » Un j’accuse ripetuto in unaintervista a Fabio Tamburini per il libro Storie di Borsa quotidiana. « Pezzi di potere politico-mediatico si sono mossi in modo conver-gente con pezzi del sistema finanziario, forse per riportare Telecomin ambito controllabile », sostiene il presidente di Pirelli, riferendosichiaramente all’allora presidente del Consiglio Romano Prodi e alsuo consigliere economico Angelo Rovati. Ma Prodi e Rovati nonhanno alcuna responsabilita` nel fallimento del disegno di potere
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del presidente della Pirelli. I due uomini politici si sono limitati aproporre alcune vie d’uscita per salvare una delle maggiori aziendedel Paese, con un ruolo cruciale per il suo sviluppo futuro. Un atto,forse, doveroso per un Governo.
La verita` e` molto lontana dalla versione dei fatti che Tronchetti
racconta spesso: comprando il controllo di Telecom Italia nel2001, Pirelli ha fatto semplicemente un cattivo affare. Nel 2001 in-fatti la maggioranza dell’Olivetti (poi diventata Telecom Italia attra-verso una operazione di fusione) venne acquisita dalla cordata Cola-ninno-Gnutti pagando le azioni 4,7 euro l’una quando in Borsa quo-tavano fra i 2 e i 2,2 euro. E` vero che il controllo comporta sempre ilpagamento di un premio, ma in questo caso la sproporzione era dav-vero molto ampia. Inoltre, nel periodo di tempo intercorso fra l’an-nuncio dell’accordo e il closing, le quotazioni di Olivetti scesero ulte-riormente, fino a un euro. Affossamento non certo imputabile all’11settembre, evento spesso utilizzato dal leader di Pirelli come sua giu-stificazione. Infatti, le Olivetti-Telecom quotavano tra gli 1,3 e gli 1,4euro gia` prima che i due aerei si abbattessero sulle Twin Towers diNew York. Peraltro, il settore della telefonia negli ultimi sette annista avendo margini decrescenti in tutto il mondo.
Da quella mattina trascorsa su una terrazza di Portofino, Marco
Tronchetti Provera e` rientrato nei ranghi. In un sistema economi-co-finanziario efficiente, un chief executive officer di un grande grup-po che avesse portato a casa risultati del genere avrebbe preso attodella situazione e offerto le proprie dimissioni. Oppure sarebbe statoobbligato a farlo. Non a caso, nel 1991 proprio Leopoldo Pirelli, al-lora suocero di Tronchetti, abbandono` la guida della societa` di fami-glia dopo un cattivo affare come il fallimento della scalata alla tedescaContinental.
Nel caso di Marco Tronchetti Provera, invece, i soci Pirelli non
hanno mai affrontato seriamente la questione. Se lo hanno difesoprobabilmente cio` e` avvenuto perche´ lui, a sua volta, li protegge nelleloro aziende, essendo socio nelle relative holding di controllo. Ungioco a incastro che garantisce che tutto resti fermo, pietrificato. Pa-zienza se a pagare il conto sono le aziende coinvolte e, in particolare, ipiccoli azionisti.
Scena seconda. Roma, viale dell’Astronomia 24, 22 maggio 2008. L’Assemblea di Confindustria elegge all’unanimita` Emma Marcega-glia alla carica di presidente. Sulla nuova leader quarantenne conver-gono sia i voti delle grandi aziende sia quelli delle medio-piccole, cherappresentano il cuore silenzioso di Confindustria.
Pur essendo di seconda generazione – e pur occupandosi piu` di
Confindustria che dell’impresa di famiglia – Emma Marcegaglia e`portatrice di una storia in cui questi uomini d’azienda si identificano. Quella di un impero costruito dal nulla quarant’anni fa da StenoMarcegaglia, operaio con la licenza media figlio di una cameriera ve-ronese trasferitasi a Gazoldo degli Ippoliti per lavorare in un’osteria. Steno inizia piegando tubi d’acciaio per le tapparelle e finisce ai ver-tici di un colosso industriale da 4 miliardi di euro, presente nei cin-que continenti, con un tasso di crescita medio del 15% negli ultimivent’anni e del 20 negli ultimi cinque.
Emma Marcegaglia e` la prima donna a guidare Confindustria.
Ma la sua carica di novita` non ha a che fare con l’appartenenza alsesso femminile, un aspetto che nel contesto di riferimento e` privodi rilevanza. Consiste piuttosto nel tipo di capitalismo che Emmarappresenta. Un capitalismo diverso rispetto a quello dei vecchi pa-droni, che nell’ultimo decennio hanno contribuito alla crisi italianaarroccandosi nei monopoli dei telefoni, della televisione, dell’energiaelettrica, del gas, delle autostrade. Un capitalismo che rischia, va al-l’estero, innova, non chiede aiuti di Stato.
Emma puo` essere l’emblema di una generazione che potrebbe to-
gliere la chiave della macchina ai genitori ottantenni, mettendosi fi-nalmente a guidarla.
Scena terza. Torino, corso Matteotti 26, 1o dicembre 2008. JohnElkann, 32 anni, leader della quinta generazione degli Agnelli, vieneeletto presidente di Exor, l’holding frutto della fusione di Ifi e Ifil, ledue scatole cinesi con le quali la famiglia torinese governava da oltre60 anni la galassia di societa` partecipate, la maggiore delle quali eraed e` la Fiat. La mossa ha due effetti. Il primo e` di semplificare lastruttura di controllo del gruppo, ora piu` semplice e chiara, propriocome vuole il mercato. Il secondo e` di concentrare tutto il potere nel-le mani del giovane John Elkann, che ora ha un ruolo piu` importante
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di quello che a suo tempo aveva suo nonno, l’Avvocato GiovanniAgnelli. Quest’ultimo, infatti, aveva lasciato a suo fratello Umbertola guida dell’Ifil, dalla quale dipendevano le partecipazioni diversedalla Fiat.
John Philip, detto Jaki, deve traghettare la Fiat e tutta la galassia
verso la competizione globale, il mercato, la concorrenza, la moder-nita`. Finora si e` dimostrato all’altezza della situazione, anche perche´ e`stato assistito in ogni sua mossa da un coach esperto come GianluigiGabetti. Ma dopo, che cosa fara`? Come si muovera`? Che tipo di lea-der sara`? Riuscira` a far compiere alla sua dinastia l’indispensabile sal-to in avanti verso la modernita` e l’innovazione?
Le ragioni di un’inchiesta. Chi sono i padroni del domani? Doveporteranno le loro aziende? In che modo condizioneranno l’econo-mia e la societa` italiane? Faranno significativi passi avanti rispettoai loro padri? Cercheranno di aggrapparsi ai salotti pietrificati e irre-sponsabili dei loro nonni oppure costruiranno imprese moderne,concorrenziali, ricche di idee? Come si comporteranno rispetto auna crisi devastante che, a partire dalla fine del 2007, sta mutandoequilibri di potere e modi di pensare che prima sembravano eterni?-Questo libro intende rispondere a tali domande, raccontando il cuo-re dell’e´lite dirigente italiana: gli eredi delle grandi famiglie industria-li e finanziarie. Un’e´lite che comprende uomini come John Elkann,Alessandro Benetton, Francesco Caltagirone junior, Matteo Cola-ninno. E donne come Emma Marcegaglia, Federica Guidi, MarinaBerlusconi. Disegnando il profilo di questi rampolli sara` inevitabiledare spazio anche a quello dei loro padri: in alcuni casi restera` sullosfondo, in altri emergera` in primo piano invadendo il campo visivo.
Al centro della scena, comunque, saranno sempre i fatti. Cioe` i
comportamenti che i Tesori di papa` – espressione irriverente che tal-volta verra` usata per indicare i rampolli al centro di questo libro –hanno manifestato fino a oggi: il loro percorso di formazione, lemosse compiute quando sono diventati business leader, le capacita`dimostrate, le idee manifestate o perseguite, le debolezze, i fallimenti,l’atteggiamento nei confronti degli azionisti di minoranza, l’abilita` difare cose nuove, di evolvere, di rischiare, di andare all’estero per co-struire qualcosa e non solo per abbassare i costi, di competere senza
protezioni dello Stato o aiuti della politica. Il criterio cardine cheorientera` la valutazione di ciascuno sara`, alla fine, la capacita` di crearevalore. Inteso sia come valore industriale (aumento di ricavi e di ri-torno sul capitale investito) e sia come valore di Borsa. Stimato te-nendo conto della sua sostenibilita` nel tempo e degli interessi nonsolo degli azionisti ma anche, in qualche misura, di tutti gli stakehol-der, cioe` di coloro che condividono le sorti dell’azienda, come i lavo-ratori, i clienti, i fornitori, le comunita` circostanti.
Queste pagine non offriranno al lettore un catalogo esaustivo di
tutti i giovani – e meno giovani – Tesori di papa` italiani. Il loroobiettivo sara` piuttosto quello di evidenziare, attraverso una selezionedi storie emblematiche, luci e ombre del capitalismo nostrano inesordio di terzo millennio.
A parte poche eccezioni, l’eta` dei personaggi raccontati in questo
libro e` compresa tra i quaranta e i cinquant’anni, con punte perfinodi sessanta. Un periodo della vita nel quale in altri Paesi si e` nellaprima maturita`. In Italia, patria della gerontocrazia, capita inveceche anche quando si tratta di signori di mezza eta` con i capelli argen-tei si parli di loro come di figli di papa`. Nessuno dei rampolli ritrattiin questo libro e` qui proposto come un campione per cui fare il tifo ocome un nemico da vincere. Essi, come tutti gli uomini di finanza odi azienda, non sono in alcun modo paragonabili a esponenti politicio beniamini sportivi. Seduti su una montagna di milioni di euro cheuna persona normale farebbe fatica soltanto a immaginare, perseguo-no tutti il loro personale interesse. Come e` logico che sia.
EMBARGOED UNTIL 2.00 PM TUESDAY 4 AUGUST 1998 NZ FINANCIAL PLANNING COMPANY THE PROBLEM WITH PEOPLES' REPUBLICS ROGER KERR EXECUTIVE DIRECTOR CHRISTCHURCH NEW ZEALAND BUSINESS ROUNDTABLE 4 AUGUST 1998 THE PROBLEM WITH PEOPLES' REPUBLICS A few months ago I read a report that more people were on Prozac in Christchurch than anywhere else in New Zealand. I wondere
About Muslim Consumer Group for Food Products USA/Canada and its founder Syed Rasheeduddin Ahmed is a Certified Food Scientist and US food industry consultant. In 2011, he worked at Kraft Foods USA and saved about 6 million dollars annually in the cost of ingredients for Kraft BBQ Sauces. He was responsible for bringing 50 million dollars in annual sales for developing Big N