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IL TEMPO DELLA RESPONSABILITA’: LA PIANIFICAZIONE IN TEMA DI Sommario: 1. Premessa - 2. Le ragioni dell’indifferenza - 3. Principi e politiche comunitarie in materia di rifiuti: il VI programma d’azione e la più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia - 4. Pianificazione e rifiuti: la riforma del Titolo V della Costituzione e i piani di gestione. La tematica ambientale, ci appaia essa nelle vesti di gestione dei rifiuti, inquinamento chimico, stoccaggio di scorie nucleari, o altra delle mille forme in cui essa può presentarsi, ha un’indelebile impronta genetica ed un’altrettanto tipica ricaduta effettuale. Si tratta di una questione originata direttamente da fatti umani, antropica quindi, e sulla quotidianità degli umani essa ha ricadute improvvise, capaci di stravolgere il consueto vivere di intere comunità sociali. Ancora trascinandoci dietro questo binomio “artificiale”, causale ed effettuale, possiamo dire che nonostante si tratti di un insieme di eventi che hanno la loro matrice nell’intervento dell’uomo, questi ha la tendenza a non assumersene la responsabilità: si muove come se ciò che accade nel mondo della natura non lo riguardi affatto, se non quando le conseguenze più virulente squassano l’indotto sentire l’esistenza chiamato routine. Questa situazione è oggetto di riflessione nei testi di illustri autori della letteratura contemporanea, basti pensare al “Rumore bianco” di De Lillo1, in cui la vita pigramente condotta da una famiglia media americana viene sconvolta dalle fondamenta da un evento tossico aereo, o al “Materiale di recupero” di Franzen2, saggio in cui con disarmante semplicità si lumeggiano le inadeguatezze della nostra società nel gestire la questione ambientale. La scelta di partire dall’intervento di due scrittori, che potrebbe a prima vista apparire incongrua in uno scritto di sapore giuridico, può essere, più che giustificata, avvalorata dalla particolare sensibilità che da sempre la letteratura ha saputo mettere in campo nella disamina delle questioni sociali e delle risposte che comunemente vengono fornite dal singolo, come dalla aggregazioni sociali3. Negli esempi portati le emergenze di maggiore rilievo a fini giuridici sono rappresentate dalla presenza di un senso di non appartenenza sviluppato nel singolo individuo rispetto alle stesse e della percezione di una totale inadeguatezza da parte della società nel gestire la questione ambientale. E così accade che Jack Gladney, preside del dipartimento di studi hitleriani di una piccola università della provincia statunitense, sia convinto che la nube tossica non possa invadere la propria abitazione4, salvo poi doversi ricredere ed essere costretto a fuggire, spostarsi continuamente, ma inutilmente, perché in quella nube resterà immerso, seguendo le indicazioni di un’amministrazione federale che cerca di fronteggiare l’emergenza monitorando esclusivamente la direzione del vento. Ed ecco che Franzen tesse l’elogio del telefono a disco, prende atto della diffusione del prozac, ed in modo schietto con disincanto afferma che: “Il punto è proprio la salute. Il dolore della consapevolezza, il dolore della conoscenza, cresce di pari passo con le informazioni sul degrado del nostro pianeta e l’inadeguatezza del nostro sistema politico e l’inciviltà della nostra società e l’insolvenza della nostra economia e l’ingiustizia che regna in un quinto del nostro paese e nei quattro quinti del mondo che non è ricco come noi.” Dato per acquisito il carattere indefettibile e immanente della questione: è questo il tempo delle responsabilità, lo scritto intende muoversi lungo la direttrice che va dall’indifferenza all’allocazione delle funzioni nella gestione dei rifiuti, al fine di verificare, sia pure scegliendo uno dei tanti procedimenti amministrativi, il quo e il quomodo delle decisioni in materia, per toccare, infine, il tema delle politiche ambientali. La questione ambiente è espressione tipica della dissoluzione del moderno nella misura in cui si presenta come complessa incapace di soggiacere ad una logica lineare, di conseguenza la sua attitudine ad una progressiva 1 D. De Lillo, Rumore bianco, Torino, 1999. 2 J. Franzen, Materiale di recupero, in Come stare soli. Lo scrittore, il lettore e la cultura di massa, Torino, 2003, pp. 195-210. 3 Questa linea di studio è stata di recente rinvigorita dal testo di M. C. Nussbaum, Il giudizio del poeta, Milano, 1996. Ma i riferimenti potrebbero essere molteplici tra questi, ad esempio, E. Garin, La giusitizia, Napoli, 2003. 4 De Lillo¸op. cit., pp. 138-139 : « Forse dovremmo preoccuparci di più per questa nube grassa, - disse… - Non succederà assolutamente niente… - Sono cose che succedono alla povera gente che vive nelle zone esposte a rischio. La società è strutturata in maniera tale che sono le persone povere e prive di istruzione a soffrire l’impatto più grave dei disastri naturali, nonché di quelli prodotti dall’uomo. Chi vive nei bassopiani subisce le alluvioni, chi vive nelle baracche subisce gli effetti di uragani e tornadi. Io sono un professore di college. Ne hai mai visto uno solo, in una di quelle inondazioni che si vedono alla TV remare in barchetta nella strada di casa? Noi viviamo in una città linda e piacevole, vicino a un college dal nome pittoresco. Sono cose che in posti come Blacksmith non succedono.” “amministrativizzazione”, attesa l’inefficacia delle opzioni generali. Sotto altro profilo, il policentrismo, rappresentativo della nostra epoca, tende ad impedire una riduzione ad unità del soggetto preposto all’assunzione delle decisioni, aprendo alla molteplicità degli interessi. Il motivo dell’effettivo disinteresse per la questione ambientale è stato velocemente indicato nel paragrafo precedente, laddove è stato riprodotto il passo di Franzen, che ha scritto nello stesso testo: “Adeguarsi alla realtà fa bene alla salute.”5 Concetto6 esposto con estrema lucidità in altro testo da Barcellona7, secondo cui posto che la società contemporanea si caratterizza per la convinzione che l’uomo possa dominare il dolore8, anche il malessere viene canalizzato e attenuato attraverso il soddisfacimento dei desideri e dei bisogni, che sono privi di valore, perché nascono al di fuori del soggetto. Prendono forma secondo il criterio della produttività economica e del calcolo utilitaristico. E si caratterizzano per l’assenza di differenze qualitative e la presenza di differenze puramente quantitative a testimonianza del fatto che l’unico valore residuo è quello di scambio. In questo ambiente privo di valori differenziali l’individuo perde la percezione del tempo, perché domina la ripetizione, quindi, non riesce a percepire l’unicità del momento in cui è possibile effettuare delle scelte. Di più la ripetitività elimina l’esperienza, quindi elimina il possibile. 3. PRINCIPI E POLITICHE COMUNITARIE IN MATERIA DI RIFIUTI: IL VI PROGRAMMA D’AZIONE E LA PIÙ RECENTE GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA La rilevanza della tematica ambientale a livello di Unione europea è venuta progressivamente affermandosi all’indomani dell’affermarsi dell’idea9 che il fine comunitario non potesse essere unicamente quello della creazione di un mercato comune, terreno fertile per i progressi economici ed industriali, ma dovesse essere quello di consentire uno sviluppo economico compatibile con il rispetto dell’ambiente, ora consacrato nell’art. 2 del Trattato istitutivo. L’eco di questa tendenza normativa10 è presente anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia11 che è passata da un fase dominata dall’adozione di decisioni ispirate dalla volontà di evitare distorsioni alle condizioni concorrenziali del mercato interno, a causa del mancato ravvicinamento delle normative nazionali, portatrici di oneri di carattere ambientale differenti su imprese tutte operanti nello stesso settore, ad una fase più avanzata in cui la protezione dell’ambiente è divenuto criterio valutativo con potenzialità derogatorie12. Del resto, i rifiuti rappresentano un bene economico oggetto del mercato, in quanto suscettibile di scambi e transazioni commerciali a livello europeo, la cui circolazione, fu subito evidente, non poteva essere regolata soltanto nel rispetto del principio di liberazione circolazione delle merci e della libera concorrenza13, ma doveva sagomarsi sulla tutela dell’ambiente14. Inutile in questa sede ricostruire con dovizia di particolari l’iter della produzione comunitaria compresa tra il primo ed il sesto programma d’azione in materia d’ambiente. È sufficiente rilevare che accanto ad una minuziosa, quanto articolata normativa comunitaria ambientale15, il diritto comunitario ha visto l’affermarsi di un 5 J. Franzen, op. cit., p. 200. 6 Sulla ribalta assunta oggi, come in altra epoca storica, dai concetti giuridici cfr. N. IRTI, Presentazione, in La polemica sui concetti giuridici, Milano, 2004, XIX – XXI. 7 P. Barcellona, Diritto senza società. Dal disincanto all’indifferenza, Bari, 2003, pp. 146-149. 8 Cfr. S. Natoli, L’esperienza del dolore, Milano, 1986. 9 Il riferimento istituzionale va individuato nell’Atto unico europeo del 1986, ma già prima il legislatore comunitario aveva provveduto a legiferare in materia sulla base normativa rappresentata dagli artt. 100-102 del Trattato CEE e dall’art. 235 dello stesso Trattato, ritenendo quanto al primo richiamo che il fattore inquinante fosse in grado di incidere in modo rilevante sulla formazione del mercato unico, in relazione al secondo richiamo, invece, evocando la c.d. teoria dei poteri impliciti. 10 Il V programma di azione dichiarava apertamente superato l’obiettivo degli anni ’80 di completare il mercato interno e indicava per gli ani ’90 quello della riconciliazione tra ambiente e sviluppo. 11 Per una disamina generale cfr. F. Fonderico, La giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di ambiente, in Diritto ambientale comunitario a cura di S. Cassese, Milano, 1995, pp. 125 e ss. 12 Cfr. Corte Giust. 17 settembre 2002, causa C-513/99, in Urbanistica e appalti 2003, pp. 168 e ss., con nt. di M. Brocca, Criteri ecologici nell’aggiudicazione degli appalti; Corte Giust. 20 settembre 1988, causa C-302/86. 13 Cfr. al riguardo M. Montini, “Commercio e ambiente”: bilanciamento tra tutela ambientale e libera circolazione delle merci nella giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, in Dir. com. sc. internaz. 2002, pp. 429 e ss. 14 Cfr. sul tema A. Jazzetti, S. Nespor, Questione “rifiuti” e nuove tendenze del legislatore comunitario, in I rifiuti. Legislazione comunitaria e legislazione italiana a cura di A. Jazzetti, Milano, 1992, pp. 3-5. 15 Le difficoltà offerte dalla disciplina comunitaria non sono solo quelle legate all’elevato numero di provvedimenti normativi adottati, ma anche alla oscillazione dell’interpretazione delle nozioni fondamentali della materia. Ad esempio, sulle difficoltà inerenti la ricostruzione certo numero di principi16. Il valore17 ambiente18 (artt. 2 e 6 del Trattato istitutivo), considerata la sua complessità, esige di farsi scelta particolarissima, ma al contempo necessita per evitare una deriva del contingente di enunciazioni che adeguatamente combinate possano rappresentare una base di giustificazione delle scelte effettuate. Così si spiega l’attuale architettura della normativa comunitaria che, da un lato, pone principi generali (artt. 174-176 del Trattato istitutivo) e normative quadro (es. dir. 75/442, modificata dalla dir. 91/156 in tema di rifiuti); dall’altro, si articola in normative di settore (es. dir. n. 91/157 sulle batterie esauste) dirette a regolare comparti omogenei dell’ambiente o a definire metodi e strumenti per la gestione dell’ambiente. Di fronte alla necessità, però, di contenere la gran mole di provvedimenti con valenza normativa intervenuti, una via d’uscita dovrebbe essere quella di rafforzare e dare organicità alla disciplina di carattere generale19, consentendo nelle discipline di settore agevoli interventi modificativi al fine di consentire l’adeguamento20 delle discipline ai mutamenti di carattere tecnologico che un peso rilevantissimo hanno nella materia21. Riguardo ai principi, che devono consentire di assicurare “un’elevata tutela ambientale” si deve osservare che alcuni hanno per fine quello di organizzare la tematica ambientale in relazione alle funzioni e ai soggetti appartenenti all’ordinamento comunitario, così il principio di integrazione assegna carattere trasversale alla tematica dell’ambiente rispetto alle altre. Il principio di sussidiarietà unitamente a quello di maggiore protezione rappresentano i punti di riferimento per la corretta distribuzione delle funzioni tra Unione e Stati membri. Altri, invece, definiscono direttamente le caratteristiche dell’intervento comunitario: il principio della prevenzione, tipico principio “orizzontale”22, impone di minimizzare il fattore di rischio per l’ambiente, in modo tale da consentire un efficace intervento prima che la condotta potenzialmente lesiva dell’ambiente venga realizzata. Il principio di correzione, secondo cui lo strappo ambientale va ricucito in prima battuta attraverso un intervento sulla fonte del danno. Da questi due principi è gemmato23 il principio precauzionale, che eleva l’esigenza di evitare la compromissione per l’ambiente al di sopra della conoscenza scientifica, ritenendo opportuno in via tendenziale non porre in essere azioni potenzialmente lesive per l’ambiente, anche se non vi è certezza in ordine alle ricadute negative sull’ambiente. Il principio della clausola di salvaguardia, che consente allo Stato di adottare forme di protezione ambientali diverse da quelle adottate a livello comunitario, purché compatibili con queste, che esalta le peculiarità della situazione ambientale che può essere presente nello Stato membro. Infine, il principio “chi inquina paga”, nella duplice accezione di criterio di imputazione del danno ambientale e di strumento di imposizione attraverso mezzi tributari del costo dell’inquinamento. Il livello immediatamente sottostante a quello dei principi è occupato dai programmi d’azione, questi atti adottati dalla Commissione rappresentano dichiarazioni di intenti attraverso le quali si indicano le linee generali che la legislazione comunitaria cercherà di perseguire. È opportuno verificare quali sono quelle contenute nel VI programma di azione per l’ambiente24 in relazione al più ristretto ambito dei rifiuti. Ebbene quanto all’approccio strategico si avverte la necessità dell’introduzione di strumenti differenti da quelli di c.d. command and control, ritenendo indispensabile attingere un livello più elevato sotto il profilo strategico, attraverso: a) la collaborazione con il mercato; b) il coinvolgimento dei singoli cittadini; c) la attenta valutazione dell’ambiente nelle decisioni in materia di assetto e territorio. Sotto il primo profilo le future scelte dell’Unione saranno nel senso di incentivare l’adozione di protocolli di produzione in grado di portare benefici per l’ambiente attraverso l’istituzione di incentivazioni della nozione di rifiuto, cfr. in dottrina B. Caravita, Diritto dell’ambiente, Bologna, 2001, p. 225; G. Bellomo, Disfarsi…o non disfarsi…questo è il problema: la Corte aggiunge un’altra “pietra” sulla via della definizione della nozione di rifiuto e dei relativi criteri d’individuazione, in Dir. pubbl. comp. eur. 2002, pp. 1311 e ss.; in giurisprudenza cfr. Corte Giust. 18 aprile 2002, causa C-9/00; Corte Giust. 15 giugno 2000, cause riunite C-418/97 e C-419/97; Corte Giust., 18 dicembre 1997, causa C-129/96; Corte Giust. 25 giugno 1997, cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94, C-224/95. Vedi, inoltre, più di recente, Corte Giust., 29 aprile 2004, causa C-194/01; Conclusioni dell’Avv. Gen., P. Maduro, presentate il 29 aprile 2004, nella causa C-103/02; Conclusioni dell’Avv. Gen., J. Kokott, presentate il 10 giugno 2004, in causa C-457/02. 16 Sulla differenza tra regole e principi cfr. G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, 1992, p. 149. 17 Sui necessari bilanciamenti di valori costituzionali che si confrontano con l’ambiente cfr. A. RALLO, Funzione di tutela ambientale e procedimento amministrativo, Napoli, 2000. 18 Cfr. F. Spantigati, Alla ricerca dei compiti dell’amministrazione pubblica per l’ambiente dopo la Costituzione del 2001, in Diritto e gestione dell’ambiente 2002, p. 311. 19 Cfr. M. P. Chiti, Ambiente e “costituzione europea”. Alcuni nodi problematici, in Ambiente e diritto I, a cura di S. Grassi, M. Cecchetti, A. Andronio, Firenze, 1999, pp. 131 e ss. 20 Sulla necessità di assicurare un “adeguamento dinamico” ai principi operanti in tema ambientale secondo lo sviluppo delle conoscenza cfr. S. Grassi, Costituzioni e tutela dell’ambiente, in Costituzioni, Razionalità, Ambiente a cura di S. Scaramuzzi, Torino, 1994, pp. 389 e ss. 21 Cfr. sul tema F. D’Oriano, La qualità della normativa ambientale dell’Unione europea, in Dir. pubbl. comp. eur. 2003, p. 2066. 22 Si tratta, infatti, di un’indicazione che deve essere seguita in ogni intervento di carattere ambientale, cfr. D. Amirante, Ambiente e principi costituzionali nel diritto comparato, in Diritto ambientale e Costituzione. Esperienze europee Milano, 2000, p. 38. 23 Cfr. A. L. De Cesaris, Le politiche comunitarie in materia di ambiente, in Diritto ambientale comunitario Milano, 1995, p. 46. 24 Cfr. Decisione 1600/2002/CE, in Guce, L 242 del 10 settembre 2002. premiali alle imprese. Si tratta in generale di formule a base volontaristica25, nelle quali le imprese hanno facoltà di adottare meccanismi di protezione ambientale, che possono fruttare utilità rappresentate da incentivi economici o d’immagine26. Quanto al secondo profilo, quello che presenta il carattere di risorsa aggiuntiva e determinante al fine di innestare un meccanismo virtuoso di selezione dei cicli produttivi con il minor impatto ambientale, l’intenzione dell’Unione è quella di far sorgere nei cittadini una radicata e consapevole coscienza ecologica. Quanto all’ultimo profilo, si muove nella direzione del riconoscimento del saldo legame esistente tra governo del territorio e profili ambientali, che fa sorgere la necessità di una gestione integrata dei due ambiti. Oltre ad indicare le direttrici, il VI programma individua quattro settori su cui si concentrerà l’intervento dell’unione in tema d’ambiente, tra questi la gestione sostenibile delle risorse e dei rifiuti. Gli obiettivi in questo settore sono quelli di “garantire che il consumo di risorse rinnovabili e non rinnovabili non superi la capacità di carico dell’ambiente e dissociare dalla crescita economica l’uso delle risorse, migliorando l’efficienza di queste ultime e diminuendo la produzione di rifiuti. Per quanto concerne i rifiuti l’obiettivo specifico è ridurre la quantità finale del 20% entro il 2010 e del 50% entro il 2050.” Questa finalità verrà perseguita attraverso un uso ponderato delle risorse disponibili, servendosi anche di strumenti fiscali, una strategia per il riciclaggio dei rifiuti, miglioramento dei sistemi vigenti di gestione dei rifiuti, investimenti nella prevenzione quantitativa e qualitativa, integrazione della prevenzione nella creazione di rifiuti nella politica integrata dei prodotti e nella strategia comunitaria sulle sostanze chimiche. La tensione finale del programma in questione poggia su di un’idea di fondo di grande importanza: l’abbandono della logica dello smaltimento dei rifiuti a favore di quella della gestione e della riduzione degli stessi. Questa nuova prospettiva accentua la situazione di difficoltà in cui versa l’ordinamento italiano, che, invece, proprio sullo smaltimento27 ha investito cospicue risorse economiche28. Una scelta di tal fatta, oltre ad andare in controtendenza rispetto alla deriva comunitaria, ingenera processi diseconomici nella misura in cui non sfrutta i rifiuti riciclati come fonte di materia prima e non seleziona metodi produttivi a basso impatto ambientale, favorendo così l’immissione sul mercato di prodotti più costosi, perché il prezzo finale dovrà tenere conto del costo derivato dai rifiuti di produzione, e, al contempo, con maggiore impatto ambientale, quindi di fatto nocivi per altri “beni”29. In ragione di ciò all’ordine del giorno sono le sentenze di condanna della Corte di Giustizia30, che sollecitata dalla Commissione europea, svolge opera di severo controllore delle inadempienze nazionali lesive dell’ambiente, tanto da rilevare il mancato assolvimento degli obblighi di risultato contenuti nelle direttive. Si assiste, pertanto, ad un fenomeno di grande rilievo: la pregnanza del valore ambiente31 diviene ragione giustificativa della maggiore ampiezza del sindacato esercitato dalla Corte, impegnandola nell’acclarare il superamento della sfera di discrezionalità assegnata allo Stato membro nel raggiungimento del fine. 25 In quest’alveo rientra anche la discussa categoria dei c.d. contratti ambientali, sul tema cfr. S. Nespor, I contratti ambientali, in Dir. pubbl. comp. eur. 2003, pp. 962 e ss. Interessante è il disposto dell’art. 25 D.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, comma 1: “Ai fini dell'attuazione dei principi e degli obiettivi stabiliti dal presente decreto, il Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, può stipulare appositi accordi e contratti di programma con Enti pubblici o con le imprese maggiormente presenti sul mercato o con le associazioni di categoria. Gli accordi ed i contratti di programma hanno ad oggetto, in particolare: a) l'attuazione di specifici piani di settore di riduzione, recupero e ottimizzazione dei flussi di rifiuti; b) la sperimentazione, la promozione, l'attuazione e lo sviluppo di processi produttivi e di tecnologie pulite idonei a prevenire o ridurre la produzione dei rifiuti e la loro pericolosità, e ad ottimizzare il recupero dei rifiuti stessi; c) lo sviluppo di innovazioni nei sistemi produttivi per favorire metodi di produzione di beni con impiego di materiali meno inquinanti e comunque riciclabili; d) le modifiche del ciclo produttivo e la riprogettazione di componenti, macchine e strumenti di controllo; e) la sperimentazione, la promozione e la produzione di beni progettati, confezionati e messi in commercio in modo da ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti e i rischi di inquinamento; f) la sperimentazione, la promozione e l'attuazione di attività di riutilizzo, riciclaggio e recupero di rifiuti; g) l'adozione di tecniche per il reimpiego ed il riciclaggio dei rifiuti nell'impianto di produzione; h) lo sviluppo di tecniche appropriate e di sistemi di controllo per l'eliminazione dei rifiuti e delle sostanze pericolose contenute nei rifiuti; i) l'impiego da parte dei soggetti economici e dei soggetti pubblici dei materiali recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani; l) l'impiego di sistemi di controllo del recupero e della riduzione di rifiuti.”. 26 L’ordinamento comunitario non sembra, invece, voler adottare meccanismi di mercato (c.d. market-based regulations) attraverso i quali si consente all’impresa di contabilizzare il costo dell’eventuale surplus di inquinamento, o di cedere o acquistare diritto di inquinare in modo da rispettare la soglia complessiva. Né risultano utilizzati strumenti di legislazione negoziata tra l’amministrazione e le imprese. 27 Sulla distinzione tra la nozione di smaltimento e quello di recupero dei rifiuti cfr. Corte Giust. 27 febbraio 2002, causa C-6/00 e Corte Giust. 13 febbraio 2003, causa C-228/00. Sui limiti alla circolazione dei rifiuti in ambito comunitario direttamente discendenti dalla finalità di smaltimento cfr. Corte Giust. 13 dicembre 2001, causa C-324/99; Conclusioni dell’Avv. Gen. F. Jacobs presentate il 6 maggio 2004 nella causa C-113/02. 28 S. Izzo, Gestione dei rifiuti: ancora una “bocciatura” per l’Italia, in Dir. pubbl. comp. eur. 2000, p. 320. 29 Sui costi sociali dell’iniziativa economica privata cfr. F. Caffè, Considerazioni intorno al settore pubblico dell’economia, in Saggi critici di economia Roma, 1958, p. 77. 30 Cfr., ex plurimis, Corte Giust., 9 novembre 1999, causa C- 365/97; Corte Giust., 11 dicembre 2001, causa C-376/00; Corte Giust., 25 aprile 2002, causa C-396/00; Corte Giust., 10 giugno 2004, causa C-87/02. 31 Sull’importanza che l’ambiente come diritto trovi asilo nelle costituzioni degli Stati membri, non risultando sufficienti né assorbenti le norme del Trattato istitutivo che fanno riferimento all’ambiente cfr. Amirante, Diritto ambientale cit., p. 42. Quanto alla tipologia di strumenti realizzati per la gestione dei rifiuti si serve di un’alternativa al binomio strumenti autoritativi - strumenti negoziali. Una volta tramontata l’idea che i contratti ambientali possano fruttare un salto di qualità nelle politiche ambientali, considerato che la loro utilizzazione non rappresenta un successo né all’interno della Comunità europea, né negli Stati Uniti32, e che d’altre parte appare irrinunciabile il ruolo svolto dagli strumenti autoritativi, il VI programma d’azione punta sull’educazione ambientale e sulla formula del “volere” da parte dei cittadini dell’Unione. 4. PIANIFICAZIONE E RIFIUTI: LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE E I PIANI DI GESTIONE Il tema dell’ambiente come noto è stato oggetto di rivisitazione a seguito della L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3 di riforma del Titolo V della Costituzione, che all’art. 117, comma 2, lett. s), ha introdotto in modo esplicito una disposizione che, sia pure occupandosi del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, indica la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema quale coordinata di riferimento per il legislatore33. La citata disposizione è stata già scrutinata dalla Consulta a più riprese34 con pronunce che, nel loro succedersi, hanno evidenziato la difficoltà di tracciare un criterio netto utile a definire il riparto di competenze. Il nodo di maggior spessore da sciogliere è rappresentato dalla interferenza della materia “ambiente”, inclusa a pieno titolo tra le c.d. “materie valore” e le altre materie spesso di competenza concorrente tra Stato e Regioni, quali ad esempio, tutela della salute e governo del territorio35. Abbandonato il livello legislativo del riparto di competenze che esula dal presente studio, occorre volgersi a quello amministrativo per rileggere l’art. 22 del D.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (c.d. decreto Ronchi) alla luce del mutato quadro costituzionale di riferimento, che in questa nuova prospettiva si compone non solo dell’art. 117, comma 2, lett. s), ma anche dell’art. 118, letti secondo le indicazioni contenute nella sentenza 1 ottobre 2003 n. 303 36 della Consulta. Quest’ultima pronuncia, come noto, rappresenta un tentativo di leggere il mutato quadro costituzionale introducendo criteri di flessibilità verso l’alto del riparto di competenze all’indomani del superamento del c.d. principio del parallelismo37 a vantaggio del c.d. principio di sussidiarietà. Operazione quest’ultima praticabile secondo la Consulta sulla scorta di alcuni parametri, quali la rilevanza sovraregionale dell’interesse da curare, il rispetto del principio di legalità e di quello di leale collaborazione tra gli enti portatori degli interessi da comporre38. Nel caso dei piani di gestione dei rifiuti, il ruolo di preminenza assunto dalla regione si giustifica grazie all’ampiezza territoriale dell’interesse da curare in omaggio al principio di sussidiarietà. Allo stesso tempo l’intervento necessario da parte degli enti territoriali di dimensione più ridotta rende omaggio al principio di leale collaborazione con una formula quella dell’intervento necessario ma di peso non vincolante, che riconosce in ogni caso la preminenza del ruolo svolto dall’organo che dà l’impulso al procedimento pianificatorio, facendo, peraltro, salvo il potere sostitutivo eventuale dello Stato in presenza di inadempienze regionali. La previsione contenuta nell’art. 22 del d.lgs. n. 22 del 199739, che richiama l’art. 7 della direttiva 91/156/cee sui rifiuti40, riprende con finalità più ampie, quella dell’art. 6 D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 istitutiva dei piani di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti41. La distanza più rilevante tra le due figure può essere individuata da un lato nel rilievo strategico42 assunto dai piani disciplinati dall’art. 22, che prevedono non solo o meglio non tanto lo smaltimento dei rifiuti, quanto la predisposizione di tutte quelle iniziative, quali, la riduzione, il riciclaggio, il riutilizzo, il reimpiego dei rifiuti. Dall’altro, nel ruolo riconosciuto alle 32 Cfr. Nespor, I contratti ambientali, cit., p. 972. 33 Cfr. R. Chieppa, L’ambiente nel nuovo ordinamento costituzionale, in Urbanisitca e appalti 2002, p.1245. 34 Cfr. Corte cost. 26 agosto 2003, n. 4841; 1 ottobre 2003, n. 303; 7 ottobre 2003, n. 307; 7 novembre 2003, n. 331, commentate da G. Manfredi, Standard ambientali di fonte statale e poteri regionali in tema di governo del territorio, in Urbanistica e appalti 2004, pp. 295 e ss. 35 Sul tema cfr. di recente R. Chieppa, L’ambiente fra Stato e regioni e la funzione consultiva del Consiglio di Stato in funzione delle regioni, in Urbanistica e appalti 2004, pp. 824 e ss. 36 In Dir. e giut. 2003 f. 37, p. 58. 37 Sul riparto di competenze prima della riforma del Titolo V della Costituzione cfr. P. Mantini, Lezioni di diritto pubblico dell’ambiente, Padova, 1991, pp. 69-70. 38 Per una critica all’esegesi della Consulta cfr. I. M. Marino, “Neo-federalismo” e politiche delle infrastrutture dei trasporti in Italia , in L’uso del territorio, Milano, 2004, p. 266: “Il processo di inversione del “livello” degli interessi “preferiti”, iniziato con la Carta Europea dell’autonomia locale (e la L. 8 giugno 1990, n. 142) e conclusosi con il nuovo Titolo V, non lascia spazi ad interpretazioni che vedano nella sussidiarietà un indifferente “ascensore”, anziché un principio in favore del livello decisionale più prossimo ai cittadini ed in favore delle libere potenzialità espressive dei cittadini stessi.” 39 Per un esame approfondito della norma cfr. R. Ferrara, F. Fracchia, N. Olivetti Rason, Diritto dell’ambiente, Bari, 1999, pp 211 e ss. 40 Cfr. Jazzetti, in I rifiuti cit.¸ pp. 24-25. 41 Cfr. D. Bortolotti – M. Stifano, Lineamenti della normativa ambientale, Torino, 1996, pp. 32-35. 42 Cfr. M. Pernice, Diritto dell’ambiente le discipline di settore, a cura di F. Sgubbi e M. Franzoni, Torino, 2000, pp. 180-181. Province, maggiormente coinvolte nella predisposizione dei piani ed ai cittadini, la cui massima partecipazione, non senza toni enfatici, la norma richiede venga assicurata ai sensi dell'art. 25 L. 7 agosto 1990 n. 241. Un primo rilievo, che va segnalato, è la scelta, già fatta propria dall’ordinamento tedesco e da quello spagnolo, di riservare allo Stato la competenza legislativa quantomeno con riferimento ai principi in modo da assicurare omogeneità al sistema, fatte salve eventuali interferenze regionali a maggior tutela derivata dall’attribuzione a quest’ultime di altre materie con quella dell’ambiente intersecantesi, e di assegnare le funzioni amministrative secondo un sistema a cascata dalle Regioni, alle Province fino ai Comuni. Si cerca in questo modo, da un lato, di ottenere una gestione omogenea ed integrata della questione ambientale, ispirata all’eventuale superamento di interessi generali su quelli particolari, di favorire la presenza di un interlocutore unico dal punto di vista dei rapporti internazionali. Dall’altro, di consentire maggiore flessibilità nella soluzione dei problemi, consentendo effettive possibilità di controllo ai cittadini come una reale responsabilizzazione43. La soluzione nei termini cennati del riparto di competenze tra Stato e Regioni non elimina, però, del tutto la presenza di momenti di tensione riconducibili al venir meno da parte delle Regioni agli obblighi di derivazione comunitaria ed al conseguente coinvolgimento dello Stato nei confronti del quale la Corte di Giustizia emette direttamente pronunce di condanna44. Ciò risulta esemplificativo delle difficoltà cui vanno incontro i poteri locali nella gestione delle questioni ambientali. Difficoltà registrabili non solo nell’ordinamento italiano, ma anche, ad esempio, in quello inglese45, e che rilanciano la questione inerente l’opportunità di introdurre ,mezzi per stigmatizzare in via immediata il comportamento degli enti territoriali poco virtuosi46. Un secondo rilievo inerisce il ruolo assegnato alla Regione e agli altri enti territoriali, la scelta di localizzare il luogo delle decisioni sul piano della programmazione territoriale, infatti, richiama alla mente la volontà di consentire la costruzione a livello locale di modelli di sviluppo economici47 in omaggio al principio di sussidiarietà48 e di proporzionalità. In materia ambientale, infatti, l’interazione tra i citati principi dovrà essere intesa nel senso di consentire, secondo il principio di sussidiarietà, l’acquisizione di specifiche informazioni in possesso degli enti comunali a conoscenza delle peculiarità del proprio territorio, mentre in omaggio a quello di adeguatezza l’intervento regionale e provinciale consente l’introduzione di standard comuni nella gestione dei rifiuti e di far fronte alla soluzione di quelle questioni che superano lo stretto ambito territoriale comunale. In quest’ottica, per consentire il rispetto dei cennati principi, la soluzione di prevedere un meccanismo di pianificazione a cascata con la presenza di previsioni sempre più puntuali secondo lo schema piano regionale - piano provinciale – gestione dei rifiuti comunale, risulta essere bilanciato dalla formula della collaborazione, che vede il coinvolgimento degli enti territoriali attraverso un’implementazione della partecipazione. Un simile meccanismo che non si risolve in formule di decisione complessa, quale, ad esempio, quella contenuta nell’attuale assetto della conferenza di servizi, necessita, però, per essere ispirato a modelli amministrativi democratici del superamento della franchigia contenuta nell’art. 13 L. n. 241 del 1990 rispetto, ad esempio, all’obbligo di motivazione49. Quest’ultima, infatti rappresenterà un importante elemento di verifica in presenza di eventuali appendici di carattere giurisdizionale. Da ultimo, va evidenziato come un ruolo di massima importanza va assegnato alla partecipazione assicurata ai cittadini contrariamente a quanto disposto dall’art. 13 L. n. 241 del 1990. Nella fattispecie, pur in presenza di un atto generale, il legislatore ha inserito una disposizione di segno opposto. L’idea di fondo non è quella di precostituire gli elementi della legittimità del provvedimento amministrativo, quanto quello di incidere sul merito delle scelte amministrative compensando il grave deficit di democrazia che in relazione al tema dello sviluppo sostenibile appare emergere in modo evidente. Questa formula rappresenta, quindi, un tentativo di far ricadere nel fuoco della decisione quegli interessi e bisogni delle collettività interessate, che potrebbero risultare pretermessi perché confliggenti con quelli di gruppi economici dominanti, capaci di influire pesantemente sulle scelte amministrative. Però, anche un strumento di tal fatta, che conferisce al quisque de populo legittimazione procedimentale, potrebbe rivelarsi un’arma spuntata, laddove si ponga mente alla difficoltà e alla complessità tecnica delle questioni ambientali. Il rischio, in definitiva, è quello di aver creato una porta d’accesso procedimentale aperta a tutti, ma valicabili solo da pochi, ossia solo da coloro che hanno o possono procurarsi, 43 Cfr. C. Desideri, Il riparto delle attribuzioni per la tutela dell’ambiente, in Autonomie territoriali per la tutela dell’ambiente Milano, 2001, pp. 2 e ss. 44 Cfr. Corte Giust. 24 gennaio 2002, causa C-466/99. 45 Cfr. Corte Giust. 24 gennaio 2002, causa C-35/00. 46 Cfr. G. Cordini, Interpretazioni della Corte di Giustizia in tema di specie minacciate di estinzione e spedizione di rifiuti e condanne per inadempimenti ambientali degli Stati membri, in Dir. pubbl. comp. eur. 2002, p. 866. Per l’esame di analoga problematica nell’ordinamento spagnolo cfr. V. De Falco, L’applicazione della normativa europea sulle acque reflue urbane in Spagna, tra competenze statali e Comunità autonome, in Dir. pubbl. comp. eur. 2003, pp. 380 e ss. 47 Cfr. Comunicazione della Commissione del 15 maggio 2001, COM(2001)264, Sviluppo sostenibile in Europa per un mondo migliore: strategia dell’Unione Europea per lo sviluppo sostenibile. 48 Cfr. I. M. Marino, Pianificazione territoriale e sviluppo economico, in L’uso del territorio cit., pp. 10-11. 49 Cfr. A, Barone, La Governance del territorio, in L’uso del territorio cit., pp. 76-78. avendo le necessarie disponibilità finanziarie50, idonee competenze tecniche. Questo elemento di criticità potrebbe essere superato, sfruttando le potenzialità dell’amministrazione di porsi quale interfaccia tra i bisogni dei singoli e la loro traduzione in proposte procedimentalmente valutabili. Sotto questo profilo un ruolo non trascurabile potrebbe essere assunto dal responsabile del procedimento: nella sua qualità di dominus della fase istruttoria, il responsabile dovrebbe farsi carico di stimolare l’acquisizione dei fatti e degli interessi da parte dei cittadini, nonché di operarne il traghettamento fino alla fase decisoria. Alternativa valida, de jure condendo, potrebbe essere quella di creare apposite agenzie, alla stregua del modello adottato negli Stati Uniti51, operanti a livello regionale, affinché la fase amministrativa di individuazione delle linee guide da seguire nella gestione dei rifiuti possa trovare l’avallo di organismi tecnici neutrali. 50 Cfr. I. M. Marino, Cenni su alcuni profili giuridici della semplificazione amministrativa, con particolare riferimento all’ordinamento locale, in Il procedimento amministrativo in Europa a cura di M. A. Sandulli, Milano 2000, p. 149. 51 Particolarmente interessante sotto questo profilo è la disciplina del Clean Water Act, il principale statute federale in materia di tutela e gestione delle acque in cui all’Environmental Protection Agency sono assegnati poteri incisivi rispetto all’attività di pianificazione dei singoli Stati. Sul tema cfr. C. Bertazzo, La formulazione delle politiche ambientali negli ordinamenti composti, in Dir. pubbl. comp. eur. 2002, pp. 1797-1798.

Source: http://rivista.ssef.it/file/public/Dottrina/49/L1.A1001001A08F04B13418E76269.V1.pdf

News3_07

In this issue - Professor Peter Browett, Haematologist, University of Auckland, discusses a case of Polymyositis provides an update on Non-Hodgkin’s Lymphoma. Non-Hodgkin’s Lymphoma Update Key Points • lymphomas are a heterogeneous group of malignancies with variable clinical presenta- tion, response to therapy and prognosis. • Indolent lymphomas, eg, f

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